Avevo letto sul web che la trasposizione in film, del libro per ragazzi del 1982 scritto da Roald Dahl "Il GGG-Il grande gigante gentile" , fatta da Steven Spielberg si era risolta nel primo insuccesso del cineasta americano.

Quindi mi sono recato al cinema ed ho scoperto che questa non è una bufala, ma un'idiozia da incompetente o da malintenzionato. La favola che racconta di un gigante gentile che sente i cuori dei solitari e degli infelici e che con l'aiuto della piccola Sophie riesce a soffiare nelle teste degli altri giganti mortiferi e salvare i sogni di ognuno e quindi il proprio futuro, "perché i sogni sono cose".

Al di là della valenza morale del testo quello che sorprende dell'adattamento cinematografico scritto da Melissa Mathison è la perfezione tecnica della pellicola. Se poi ci spostiamo al significato mediato scopriamo l'importanza delle favole per la nostra vita di tutti i giorni: la storia è un inno all'impegno partecipativo di ogni singolo "essere urbano" per la costruzione della propria vita senza dimenticare la comunità.

Già Dahl nel libro mette insieme Borges ed i maggiori favolisti in un cocktail ben riuscito dove tutela dell'infanzia, impegno, forza del sentimento insegnano che "la necessità migliora le nostre vite perché ci insegna a pensare". Ed il discorso che si fa sottotraccia sull'importanza della lingua e delle parole?

Il gigante gentile parla un linguaggio ridicolmente sgrammaticato, ma la differenza tra quello che sente e che dice e che fa non c'è.

Oggi è morto il professore Tullio De Mauro che insegnava che la parola serve soprattutto a capire ed a farsi capire dagli altri e chi avendo una funzione pubblica e non utilizza questa funzione sociale della lingua non è solo un maleducato, ma soprattutto un antidemocratico ed apartecipativo.

Escludere l'altro è la vera antipolitica di questo tempo matto senza testa, cuore e sogni. Il sogno di Sophie si realizzerà e vivrà sulle sue gambe con un orecchio del cuore sempre vigile sulla realtà di tutti.