Su Sky è passata finalmente la quarta stagione di "Rectify" la serie-cult scritta da Ray McKinnon un autore statunitense - quest'anno chiuderà i 60 anni, portati una meraviglia - molto "europeo" che ci piace avvicinare al nostro Paolo Sorrentino ma senza quell'estetismo proprio del 50enne premio Oscar napoletano. Nella narrazione almeno nella prima puntata - "La casa divisa" - si cambia ambientazione: Daniel si è trasferito in un altro Stato ed ha aderito al progetto "New Canaan" che ha l'obiettivo mirato di reinserire - dando una casa condivisa - gli ex detenuti coadiuvandoli nella ricerca di un lavoro e di un futuro altro.
Perché parliamo solo della prima puntata? Perché è quella che fa girare la serie: dove viene fuori il groppo psicologico che c'è dentro il nostro Daniel. L'isolamento nel braccio della morte ha provocato in Holden un altro modo di sentire se stesso e gli altri. Rectius: ha provocato dentro di lui uno svuotamento del senso profondo del suo io ed una nullificazione del suo essere nel mondo.
Merita Daniel un'altra vita, al di là se riuscirà a dirimere l'altra questione non meno fondamentale dell'essere stato o meno l'assassino di Ann? La risposta dovrà darsela lui non dimenticando le dinamiche di gruppo che si stanno stabilendo nel suo nuovo nucleo avventizio del "Canaan". Daniel cerca quindi altre conoscenze fuori dall'ambiente del progetto e del lavoro come magazziniere e li trova nel gruppo di artistici anarchici di Gloria.
McKinnon ha preteso che la serie finisse dopo la quarta stagione rinunciando a lavoro e soldi: la serie in America come in altri Paesi europei conta frotte di appassionati proprio per la sua diversità narrativa lenta che spinge a pensare. Noi pur dovendo rinunciare a quei 42 minuti o più di pensiero siamo d'accordo con il georgiano autore anche del bel film "Mud": la serialità a volte spinge a scelte narrative che fanno dimagrire il significato. Quando il sugo finisce, meglio cambiare pietanza e ricominciare da capo e non perdere il primo sapore.