Il dibattito sulla possibile uscita dall'euro dell'Italia si fa ogni giorno più intenso. E non potrebbe essere altrimenti, in quanto la crisi economica e occupazionale morde alle gambe sempre più nostri connazionali e le misure di politica attiva del Governo, sembrano ai più, dei pannicelli caldi.

Proprio oggi il sito del Fatto Quotidiano mette in evidenza, come a partire da quest'anno, il debito pubblico dell'Italia, ovviamente denominato in Euro, sia in gran parte assistito dalle cosidette Cac, Clausole di Azione Collettiva, le quali. per il modo con cui sono state concepite, impedirebbero un eventuale uscita dell'Italia dalla moneta unica.

Vediamo di capire perché.

Cosa sono le Cac e come funzionano?

Le Cac, Clausole di Azione Collettiva, sono state introdotte in Italia dal Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 7 dicembre 2012 numero 96717 e consentono ad uno Stato di ristrutturare il debito o cambiarne la valuta di denominazione, ma con una maggioranza qualificata del 75% dei detentori. Secondo alcuni, quindi, queste clausole, introdotte inizialmente per rendere più "sicuri" i titoli pubblici di paesi, come l'Italia, ad alto debito, renderebbero antieconomica la loro ridenominazione in lire. Lo Stato Italiano dovrebbe, infatti, raccogliere un elevato consenso per poter effettuare la manovra, ed inoltre dovrebbe pagare dei rendimenti elevatissimi.

Infatti, secondo uno studio effettuato a Gennaio da Mediobanca e citato dal sito del Fatto Quotidiano, attualmente se l'Italia tornasse alla vecchia lira, ipotizzando una svalutazione della moneta del 30%, tutto ciò costerebbe al nostro Paese 71 miliardi di Euro.

Quanto ci costerebbe tornare alla Lira?

Comunque, le Clausole di Azione Collettiva, come messo bene in evidenza da Giovanni Siciliano in un articolo di febbraio sul sito lavoce.info, funzionano solo all'interno dei Trattati istitutivi dell'Euro e per i Paesi aderenti.

Di conseguenza una volta usciti dalla moneta unica non potrebbero funzionare, non avendo più neanche valore legale.

C'è da dire però, come insegna il caso della Gran Bretagna, che potrebbero esserci comunque dei contraccolpi a livello economico ed occupazionale e quindi dei costi, sopratutto sociali, difficilmente quantificabili.

Forse, nell'ottica dell'Europa a due velocità, propugnata dai Leader europei nell'ultimo vertice, sarebbe meglio, a parere di chi scrive, rivedere i Trattati e consentire un maggiore sforamento rispetto alla soglia del 3% finora consentita.

Sarebbe anche utile, in quest'ottica, rivedere lo Statuto della Banca Centrale Europea e focalizzarlo maggiormente sulla piena occupazione, sull'esempio della Federal Reserve, e meno sull'obiettivo di contenimento dell'inflazione sotto il 2%, che in un periodo come questo di bassi consumi e stagnazione, suona estremamente anacronistico.

Occorre dare una scossa concreta all'economia europea, per non creare ulteriori focolai di risentimento che genererebbero solo violenza e danneggerebbero ulteriormente Paesi,come l'Italia, in forte crisi.