Il Commissario Montalbano rappresenta un fenomeno televisivo dal potere straordinario che si sta sostanziando nella miglior campagna di marketing territoriale possibile per scicli, piccolo centro ibleo del Val di Noto. Ma se proviamo un attimo ad andare al di là della bellezza dei luoghi in cui è girato e della trame sempre intriganti ed ironiche uscite dalla penna di Andrea Camilleri, qual è la Sicilia rappresentata nella fiction?
Una Sicilia grassa, placida, colorita nel linguaggio (si pensi all'anziano medico interpretato dal mitico Marcello Perracchio), un po' meretrice e abbandonata ai suoi vizi.
E mafiosa. Già, mafiosa. La parola mafia, come Sciascia ci ha ben insegnato, assume molteplici significati, alcuni dei quali quasi imponderabili e paradossali.
C'è, ad esempio, chi associando le parole mafia e Scicli ha costruito carriere politico/giornalistiche. C'è la mafia che uccide. C'è la mafia dal volto truce, quella del cemento e degli appalti, ben rappresentata nella fiction.
Dunque qual è, alla fine dei conti, la Sicilia che piace e che viene premiata con audience record sia in Italia che all'estero? Lo stereotipo della Sicilia, quello che irrita molto i Siciliani.
La Sicilia mafiosa, che non ce la fa ad abbandonare i suoi imbrogli. Un posto in cui andare per fare i bagni al mare ad agosto, mangiare qualche granita, gustare qualche piatto di spaghetti allo scoglio in riva al mare.
Un'immagine non proprio bella, fastidiosa. Di quelle che alimentano malevoli pregiudizi contro il Sud. Ma occorre porsi, in assoluta onestà, una domanda la cui risposta non è per niente semplice: si tratta della caricatura o della nitida fotografia della Sicilia? La bella Trinacria è vittima di un pregiudizio infondato? Oppure la Sicilia è intrinsecamente e profondamente mafiosa?
Il quesito è pesante come un macigno. Occorrerebbero forse più risposte da parte della società civile, per scacciare un o spettro che aleggia per "Vigata" (e per la Sicilia) come quello del comunismo nell'Europa di fine Ottocento.