Siamo di nuovo alla solita storia, il ministero dell'Economia ha reso disponibile le tabelle relative al bonus da 80€ secondo le quali quasi 440 mila persone hanno dovuto restituire l'importo ricevuto in busta paga, in quanto incapienti, cioè guadagnano così poco che non devono pagare le tasse, poiché tra deduzioni e detrazioni viene superato l'importo Irpef che dovrebbero pagare.
Ora, la domada che sorge spontanea è una sola: ma se un soggetto è incapiente, e gli è stato dato un bonus mensile di 80€, che non sarà molto, ma incide notevolmente sul suo magro reddito, qual è il senso di richiederglielo indietro, per di più in unica soluzione, sulla base proprio del fatto che è incapiente e non aveva diritto allo stesso?
È chiaro che in un paese come l'Italia famoso per la corruzione che lo pervade a tutti i livelli, il fisco si sia adeguato alla mentalità prevalente. Ma, in uno Stato di Diritto uno è considerato innocente fino a prova contraria. Per di più, come riportato da il fatto quotidiano.it, ieri, 03/03/2017, in questo periodo di crisi profonda, il ministro del lavoro, Poletti, riduce ulteriormente i fondi per le politiche sociali di 211 milioni.
Noi vogliamo credere che gli incapienti siano veramente tali. Se diamo per certa questa ipotesi, sorge, di conseguenza, un'altra domanda: Se a un soggetto incapiente viene chiesto di rifondare, in unica soluzione è in un tempo brevissimo, per esempio un mese, un importo, diciamo, di 800€, ma anche meno, quali saranno le conseguenze sulla sua situazione economica?
In una parola sola drammatiche.
Quindi, quello che doveva essere un aiuto alla fine si è rivelato un danno. E molto spesso il danno non si ripercuote solo sull'interessato, ma incide anche su coloro che gli stanno intorno, i suoi affetti, la sua famiglia, i suoi figli. L'ex premier Matteo Renzo lanciando l'idea del lavoro di cittadinanza, tra i tanslogan, una cosa vera l'ha detta è cioè che il lavoro non è solo denaro, ma soprattutto dignità.
Ma dov'è la dignità in un lavoro, se ancora può definirsi tale, che non consente, da solo, di soddisfare, non i capricci, ma i bisogni primari propri e dei propri cari? E dov'è il rispetto di quella stessa dignità, da parte di uno Stato, che prima finge di tenere in considerazione la situazione contingente e poi, sulla stessa base, si riprende quanto elargito?
Una possibile soluzione
In Italia dove si legifera per ogni più piccola cosa, e si arriva a modificare la Costituzione per introdurre il pareggio di Bilancio o si tenta di modificarla, come nell'ultimo Referendum, per eliminare il Bicameralismo perfetto, forse sarebbe il caso di rivedere l'art 53 della Costituzione, perché, se si adottano questi comportamenti paradossali, non siamo in grado di trovare il giusto equilibrio tra il suo primo periodo, che impone a tutti di contribuire alle spese pubbliche in base alla propria capacità contributiva e il secondo periodo che impone la progressività nella tassazione.
Lungi da noi dire che la nostra Costituzione sia sbagliata. Il problema sta in chi la interpreta, e quando questo accade occorre essere netti anche nelle enunciazioni di principio.
D'altra parte il lavoro dicevamo è dignità, ma la nostra Repubblica è inserita nella Comunità Europea e questo fa sì che i lavoratori possano essere assunti dappertutto in Eurolandia, ma questo non vuol dire che il singolo Stato non possa tutelare i propri cittadini.
In questo possiamo prendere esempio dalla Germania, dove, per legge, vige un criterio di prossimità, nel senso che quando un'azienda ha bisogno di una determinata risorsa è obbligata a ricercarla prima all'interno del proprio Comune; se non la reperisce può allargare la ricerca alla propria Regione; infine può effettuare la ricerca a livello Nazionale. Inoltre viene data priorità ai propri concittadini e poi, a parità di condizioni, agli altri.
Forse, eliminando la corruzione, il clientelismo e adottando delle riforme serie, si potrebbe veramente ridare dignità alle persone.