Al grido de “El pueblo unido Jamas sera vencido”, il popolo venezuelano – unito contro il golpe – si è messo in marcia. Scelta (quella del 19 aprile) non casuale visto che – dopo che il popolo riunitosi nell’attuale piazza Bolivar disse “no” al comando del governatore spagnolo e capitano generale, Vicente Emparán – il 19 aprile 1810 fu siglato il primo atto che segnò l’inizio del processo d’indipendenza del Venezuela dall’Impero spagnolo.
Così, a distanza di secoli, un popolo vessato da anni – prima dal “Líder Máximo” Hugo Chavez, poi dall’attuale presidente Nicolás Maduro – ha deciso di non fermarsi nella lotta per la rivendicazione dei propri diritti, per la democrazia e la libertà, manifestando in maniera pacifica.
Tuttavia, la cronaca di tale protesta – che viene mostrata dalle immagini e dai video che circolano in rete e nei social –, evidenzia il pugno duro usato dal governo Maduro per sedare i manifestanti. Situazione confermata anche dalla BBC online, che segnala tre morti (tra questi, due giovani studenti universitari), mentre il presidente Nicolas Maduro, oltre ad accusare l’opposizione di tentare il golpe, ha confermato l’arresto di almeno 30 persone.
Venezuela, un Paese sul baratro della guerra civile
Fin qui la cronaca di una giornata preludio di un Paese sul baratro di una guerra civile. Notizie che, purtroppo, non colgono di sorpresa chi scrive e che da anni segue con apprensione le vicissitudini del popolo venezuelano.
Soprattutto, si indigna davanti al silenzio omertoso che media, organizzazioni internazionali e resto del mondo hanno, fino ad ora, perpetrato e – in alcuni casi – continuano a perpetrare.
Persone che, nonostante siano completamente estranee alle dinamiche del Venezuela e – probabilmente – non ci abbiano nemmeno mai nemmeno messo piede, continuano a sostenere a distanza Maduro e il “chavismo”.
Esternazioni che – se la situazione non fosse così lapalissianamente critica –, sono al limite del grottesco. Addirittura fanno venire in mente scene tratte dal film “Il compagno don Camillo” (penultimo episodio della “saga” di film che vede come protagonisti i personaggi di Don Camillo e Peppone, diretto da Luigi Comencini e tratto dall'omonimo romanzo di Giovannino Guareschi).
Dove, in sintesi, Peppone con un gruppo di compagni di partito – insieme al prete – fanno un viaggio nella Grande Madre Russia, «[…] faro di civiltà che illumina, che guida» (cit. Giuseppe "Peppone" Bottazzi, interpretato da Gino Cervi). Tutto bene, fino a quando la comitiva italiana viene bloccata in albergo, senza spiegazioni. Situazione che porta l’allegra combriccola ad avere seriamente paura, a temere per la propria incolumità e a mettere in dubbio il “faro di civiltà” idealizzato.
Così, tornando al Venezuela, per portare avanti l’ideologia socialista e un principio (senza dubbio legittimo) di equità socio-economica, è più conveniente fare orecchie da mercanti ed essere miopi come Peppone che finisce per dire: «E soprattutto non vi azzardate a raccontarmi un'altra delle vostre stramaledette calunnie sulla vostra Russia.
Io voglio continuare... a credere alla mia!».
Si preferisce credere a Maduro, il quale sostiene che quel poco di informazione che sfugge alla censura del governo è propaganda dell’opposizione. Che le immagini e i video che immortalano i cittadini in fila per ottenere generi alimentari di prima necessità (quali pane, acqua, latte e così via) e medicinali, in realtà, siano stati photoshoppati. Eppure, le testimonianze dirette che arrivano a chi sta scrivendo confermano tali immagini. Confermano la mancanza di cibo, di carta igienica e di medicinali, oltre che la paura di circolare per strada, di lasciare le proprie abitazioni per timore che queste vengano occupate. Amici che inviando – a chi scrive – una foto che li ritrae allegri e sorridenti, puntualizzano: «Qui stavamo festeggiando il fatto che avevamo trovato il latte».
Tuttavia, nonostante l’evidenza dei fatti e delle immagini, come sostiene un proverbio arabo: «gli occhi sono inutili per un cervello non vedente».