Era già tutto previsto nella legge elettorale, congegnata dal Partito Democratico in sintonia con Forza Italia, scritta dal deputato dem Ettore Rosato (donde Rosatellum), approvata dal parlamento a colpi di (forzosi) voti di fiducia e promulgata dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, relatore della legge elettorale del 1993 (il Mattarellum), già esponente della sinistra dc, reduce dalla Prima Repubblica, giurista e giudice costituzionale (un tecnico della materia elettorale).
Il Rosatellum è stato concepito a misura della ingovernabilità per una prefigurazione tripolare del voto, pur nella ipotesi scontata di un calo del Pd.
La soluzione immaginata dal diabolico nuovo sistema di voto era stata orientata a determinare – come sostenevano tutti gli osservatori e politologi – un governo di coalizione Pd-Forza Italia, sulla spinta di un’intesa sommersa tra Renzi e Berlusconi. I retroscenisti la davano già per cosa fatta sin dal varo della legge, e questo nonostante le smentite che, per la verità, gli interessati mostravano di voler marcare solo nell’ultima fase della campagna elettorale. Il loro fuoco concentrico contro i Cinquestelle, l’annacquamento di reciproche polemiche e il mosaico delle candidature confermavano le persuasioni degli editorialisti più attenti.
Nuovo governo: mancano i numeri, ma il Pd...
Nella diabolicità della partita, il diavolo ha, però, messo la coda nelle urne.
Ne sono usciti un Berlusconi ridimensionato, protagonista di una performance ben al di sotto delle aspettative, che quantomeno erano quelle di un mantenimento della sua leadership nel centrodestra, e un Renzi bastonato per effetto di uno scioccante travaso di voti dal suo partito a quello dell’inviso Di Maio. Le larghe intese sono così saltate.
Imprevedibilmente gli esiti del voto hanno collocato Pd e Forza Italia, messi insieme, ben al di sotto delle soglie preventivate. Non solo. Ma, com’è oramai noto, hanno vanificato ogni altra più realistica possibilità di compatibile alleanza finalizzata alla formazione di un governo.
Non ci sono i numeri. Non ci sono, a meno che il Pd, paradossalmente proprio il partito più perdente della compagnia, non decida di sostenere o il partito vincente, quello di Di Maio, o, meno probabilmente, la coalizione di centrodestra, anche questa vincente e non più in mano a Berlusconi, bensì all’"odiato" Salvini.
Escluso, almeno per ora, un accordo Di Maio-Salvini, pur se auspicato dalla maggioranza dei rispettivi elettorati (come testimoniano i sondaggisti), il Pd diventa determinante. E lo è nei fatti scaturiti dal combinato disposto di una legge che si è rivelata più diabolica del diavolo. Al momento, il Pd, nella stragrande maggioranza delle sue componenti interne, nega la possibilità di una convergenza, qualsiasi essa sia. Ma l’appello alla “responsabilità” del capo dello Stato potrà rimuoverne le resistenze.
Il Pd resta arbitro della situazione, nel senso che può favorire la nascita di un governo e, se sì, potrà condizionarne la vita. Roba da Prima Repubblica. A Mattarella tocca l’arduo compito di risolvere nodi che, in effetti, egli avrebbe potuto dipanare prima, facendo valere il suo ruolo, le sue competenze, la sua esperienza. Il deputato Rosato potrà vantarsi di saperne una più del diavolo, avendo confezionato il pacco d’una sconfitta alle elezioni in una vittoria per il governo.