Astori era un calciatore realizzato, conosciuto come una persona per bene, nato in un piccolo paese della Val Brembana e arrivato in alto. In alto dove c’è posto per immortalità. Pensavamo e credevamo. La sua morte improvvisa ha spiazzato le nostre certezze: come è possibile che un giovane così capace che non ha fatto nulla di male se ne sia andato senza appello di sorta, senza esprimere un’ultima opinione e senza informarci?
Ed è su questo aggettivo, improvviso, che cade la mia attenzione e la mia riflessione: “improvviso” mi fa venire in mente un lampo nel temporale o una caduta accidentale a cui può far seguito un’imprecazione.
Imprecazione di rabbia, e un “ noooooooo…..” prolungato che si spegne nel singhiozzo di dolore.
Sento che l’ipocrisia di oggi ci spinge ad essere più vicini alle persone che arrivano al centro della notizia. Della morte degli altri, di quelle persone poco importanti non se ne parla o poco, giusto per tenere un tono formale sull’evento più mistico e misterioso della nostra vita. Perché non spendere costernazione, condoglianze, empatia anche per gli altri esseri umani? Perché sapete, tutti i giorni muoiono migliaia di persone, di poveri Cristi che arrancano e lottano per arrivare al riconoscimento altrui.
I vip (very important people) non possono morire. Diventano ai nostri occhi ”gli intoccabili” dalla morte perché hanno realizzato quello che per noi è ancora un sogno, e allora tutti a correre per riempirci di cose e divenire anche noi intoccabili e immortali.
Morire toglie ogni certezza, nessuno ci spiega davvero dove andiamo poi, e cosa ne sarà di noi.
In particolare cosa succede alle vite delle persone più realizzate e a quelle di successo che non “meritano” di andarsene? In qualche modo scendono di colpo al livello di tutti gli altri. A noi che rimaniamo, si sgretolano le convinzioni legate alla fama, soldi, bellezza e realizzazione che arginano la grande paura della morte.
Una forte forma di esorcismo per non accorgersi che la vita è impermanente. Unica certezza nella vita dei vivi. Ci sentiamo presi in giro e costernati.
Il nostro disperato bisogno di sicurezza non ci permette di considerare e parlare della provvisorietà della vita stessa. Sarà capitato anche a voi di evitare lo sguardo di un barbone che chiede l’elemosina perché in lui ci specchiamo e ci spaventiamo.
“Anche a me potrebbe capitare di non farcela”, ci viene da pensare, quindi se muore forse è anche meglio, levare di torno una vita inutile; questa la nostra compassione.
Così tolgo lo specchio per non riflettere il mio dubbio e paura. Mi specchio pieno di speranza, ottimismo e fiducia invece, nella persona di successo così anch’io per un attimo sento che ci sono, che posso vivere, e non provo vergogna anzi, vuoi vedere che sconfiggo anche la morte? Quella roba là, buia che non lascia spazio a spiegazioni e scuse, che così improvvisamente potrebbe prendermi e portarmi dove non so.
A me spiace per astori e la sua famiglia perché soffrono ma ai ragazzi, ai nostri giovani voglio dire di non credere che la vita si risolva in una notizia meritata perché lui ce l’aveva quasi fatta; tutti ce la facciamo quando diventiamo consapevoli che ogni giorno è prezioso e quindi terreno fertile per creare valore; un sorriso, un buon guadagno, il supporto ad un figlio, arrivare puntuale in ufficio, tendere una mano a chi ha più bisogno di noi, cadere e rialzarsi.
Questo è importante perché la morte ci coglierà alla fine della nostra personale missione, qualunque essa sia. Di successo o no. Ricchi o poveri. Sporchi o puliti. Di anni tre o trentacinque…