Qualcuno ha usato timidamente il termine 'Terza Repubblica', in realtà in maniera piuttosto impropria. Il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica fu obbligatorio alla luce del disfacimento delle forze politiche che avevano guidato il Paese dal dopoguerra fino ai primi anni '90. Oggi non c'è nessuna svolta radicale se consideriamo che l'unica novità nel panorama politico nazionale è il M5S che, comunque, entra a buon diritto nella storia italiana recente. In realtà il passaggio politico più epocale dell'intero dopoguerra avvenne in piena Prima Repubblica.

Nel 1976 l'Italia fu il punto d'incontro di due ideologie e di due mondi contrapposti. Un caso unico nel suo genere, necessario in anni difficili. Erano gli Anni di Piombo, un'epoca in cui l'estrema destra e la sinistra radicale extraparlamentare avevano scelto la lotta armata, anni di violenza indirizzata a sfaldare le fondamenta stesse dello Stato. Ciò che oggi viene ricordato come 'compromesso storico', fu la risposta della politica al terrorismo, una dimostrazione di unità di intenti a salvaguardia della democrazia. La controreplica del terrorismo di estrema sinistra sarebbe stata devastante.

Le radici del 'compromesso'

Le basi del compromesso storico partono... dal Cile. Era il 1973 quando, a seguito del golpe militare che rovesciò il governo democraticamente eletto di Salvador Allende nel Paese sudamericano, il segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, lanciò una proposta che intendeva proteggere il sistema democratico italiano dalla strategia della tensione alimentata dal terrorismo rosso e nero.

Una scelta rivoluzionaria con la quale il leader del PCI staccava definitivamente il suo partito dal cordone ombelicale sovietico che, però, non venne vista particolarmente di buon occhio dai militanti più estremisti. Trovò però il favore dell'area progressista della Democrazia Cristiana, rappresentata dal presidente Aldo Moro e, nel contempo, venne osteggiata dalla corrente andreottiana.

"Sarebbe la somma di due guai - commentò in un'intervista Giulio Andreotti - come l'ideologia clericalista ed il collettivismo comunista".

Il governo della 'non sfiducia'

Nonostante tutto, le Elezioni Politiche del 1976 avrebbero accelerato questo processo: i risultati delle urne sancirono come sempre la vittoria della DC, ma anche lo straordinario consenso del PCI il cui distacco dallo scudo crociato si ridusse a poco più di quattro punti percentuale.

Nacque dunque il 'Governo monocolore', conosciuto anche come esecutivo di solidarietà nazionale o governo della 'non sfiducia'. Fu il terzo guidato da Giulio Andreotti, ma il primo sorto grazie all'astensione del PCI durante il voto di fiducia alle Camere. Era nato il primo esecutivo la cui esistenza era permessa dai comunisti, non con un appoggio diretto, ma con una fattiva collaborazione al momento del voto per i temi più importanti. Di fatto, il partito di Berlinguer partecipava alla decisioni del governo: era la prima volta che ciò accadeva in un Paese NATO in piena Guerra Fredda dai tempi degli accordi di Yalta del 1945.

Il sequestro e l'uccisione di Moro

Il problema dei numeri in parlamento si sarebbe ripresentato nel 1978, al momento del dibattito sulla fiducia al governo Andreotti IV, ma il 16 marzo del 1978 il presidente della DC, Aldo Moro, sarebbe stato rapito dalle Brigate Rosse.

La successiva morte per mano dei terroristi del principale sostenitore democristiano del compromesso storico porterà all'abbandono di questa linea. Il quarto governo Andreotti cadrà per il ritiro del PCI nel 1979 e l'anno successivo, nel corso del congresso nazionale, la DC voterà a maggioranza l'abbandono di questa linea. Nel novembre del 1980 anche Berlinguer avrebbe ufficialmente annunciato la sua rinuncia al compromesso.

Quarantadue anni dopo...

L'eventualità di un governo di solidarietà nazionale potrebbe presentarsi ancora oggi, alla luce dei numeri determinati dalle elezioni del 4 marzo 2018 in cui nessuna forza politica ha raccolto la maggioranza necessaria per governare. Così il termine 'compromesso storico' è tornato di moda, indicando in particolare con questo termine un eventuale accordo tra M5S e PD che consenta al primo di formare un esecutivo, magari con la 'non sfiducia' del secondo.

Andiamoci piano con le definizioni, perché non c'è nulla di epocale in questo, nessun incontro tra due ideologie contrapposte che cercano un fronte comune contro la minaccia di un attacco allo Stato, in un mondo in cui sarebbero comunque rimaste contrapposte fino al tramonto del blocco socialcomunista. Era un'altra Italia, divisa dalla politica, ma unita dalla matrice comune della resistenza e dell'antifascismo che aveva trascinato il Paese fuori dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale; erano altri politici, di altissimo spessore ed esperienza se paragonati a quelli attuali. Rappresentanti dello Stato che hanno vissuto una parte di Storia ben diversa da quella che viene frettolosamente raccontata oggi (e talvolta distorta) da programmi televisivi che vanno in onda solo in occasione di determinate ricorrenze, come accaduto quest'anno con i quarant'anni dal sequestro Moro.

Probabilmente, dinanzi ad un reale senso di responsabilità verso il Paese che vada al di là degli sterili proclami da social network, l'Italia di oggi potrebbe avere un governo. Pertanto, qualunque cosa accada, non chiamatela 'compromesso storico' perché di storico ha ben poco e, ad essere del tutto sinceri, anche di politico.