Paolo Borsellino, in una delle sue citazione più famose, affermava: "Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali, però parlatene". Eppure negli ultimi anni l'attenzione rivolta al fenomeno mafioso sembra essersi ridotta notevolmente, al punto che solo in casi di arresti, blitz o ingenti sequestri l'attenzione dei media si focalizza sulla criminalità organizzata presente sul suolo italiano. È vero che al giorno d'oggi sono sempre più rari e meno evidenti sia i meccanismi con cui le varie organizzazioni reperiscono gli strumenti necessari per il proprio sostentamento che le dinamiche con le quali riescono ad aggirare gli organi di controllo e ad esercitare la propria egemonia; è anche vero, però, che lasciare che tali elementi contagino la sfera istituzionale, senza porre una costante attenzione sullo sviluppo del fenomeno mafioso, compromette considerevolmente la capacità degli organi pubblici di agire in trasparenza per arginarne l'espansione senza subire la contaminazione del cosiddetto "para-stato".

Quello mafioso è un fenomeno che non fa più notizia? È un mondo troppo difficile da raccontare? Ha ridotto il campo d'azione, venendo "a patti" con le istituzioni? Qualunque sia la causa che dà origine al fatto che il crimine organizzato venga posto "in secondo piano" rispetto ad altri fenomeni, la conseguenza è solo una: una maggiore leadership e un'intensificazione della rete dei rapporti su scala internazionale.

L'ultimo colpo assestato a Cosa Nostra

Molto scalpore ha provocato la notizia dell'ultimo, importante attacco delle forze dell'ordine al network criminale che gestisce e protegge la latitanza di Matteo Messina Denaro, ultimo padrino di cosa nostra. La Direzione distrettuale antimafia di Palermo ha disposto un'innumerevole serie di perquisizioni e controlli a tappeto in diversi comuni del trapanese.

Le perquisizioni hanno particolarmente interessato i comuni di Castelvetrano (paese natale del boss Messina Denaro), Mazara del Vallo, Partanna, Santa Ninfa, Salaparuta e Campobello di Mazara. I destinatari di tali perquisizioni sono tutti soggetti che, negli ultimi anni, sono stati ripetutamente arrestati per associazione criminale di stampo mafioso o che hanno intrattenuto stetti e continuativi rapporti con personaggi notoriamente affiliati a Cosa Nostra.

Tra gli indagati, figurano anche soggetti i cui rapporti con Messina Denaro sono noti alle forze dell'ordine fin dagli esordi mafiosi del super-criminale. Oltre 150 uomini del Servizio centrale operativo (Sco), delle squadre mobili di Trapani e Palermo e del Reparto prevenzione crimine hanno perquisito abitazioni, terreni, attività commerciali e imprenditoriali - anche con l'ausilio di strumenti in grado di individuare covi o bunker nascosti - con l'obiettivo di raccogliere ogni elemento che possa condurre alla cattura del boss.

Il blitz arriva a poco più di un mese da un'altra indagine della Dda che ha portato in carcere 21 persone tra boss e gregari dei clan di Castelvetrano, Partanna e Mazara del Vallo. A dicembre altri 30 presunti mafiosi erano finiti indagati dalla Dda sempre per aver favorito la latitanza di Messina Denaro.

Una breve ricostruzione storica di Cosa Nostra

Le radici dell'organizzazione criminale più estesa e radicata sul suolo italiano risalgono alla seconda metà del XVIII secolo, subito dopo l'unità d'Italia. All'inizio le prime cosche si servivano di detenuti, contadini o briganti per rapine, assassinii (spesso legati all'ambito socialista), sequestri o rivendicazioni agricole circoscritte al territorio siciliano; solo successivamente alle due Guerre Mondiali e alla fine del fenomeno fascista (il quale ostacolò notevolmente l'operato delle cosche siciliane) il fenomeno mafioso subì un'espansione arrivando a ramificarsi e specializzarsi anche in aree come la speculazione edilizia, il traffico di stupefacenti e altre attività che necessitavano della cooperazione con gli altri territori in cui la mafia aveva messo le radici, in particolare gli Stati Uniti d'America.

Negli anni '60 le organizzazioni radicate sul suolo italiano, a causa di dinamiche interne, cominciarono ad utilizzare un approccio più "violento": per far fronte ai numerosi omicidi, sparatorie e attentati, venne istituita la prima Commissione Parlamentare Antimafia, voluta per arginare quella che verrà poi definita come la "prima guerra di mafia". Altri omicidi e illeciti nel corso degli anni '70 coinvolsero quasi totalmente il territorio siciliano, scatenati dalla rivalità tra le cosche che in questo periodo conoscevano l'operato di personalità di spicco in Cosa Nostra come Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Gaetano Badalamenti e Tommaso Buscetta (poi pentito e collaboratore di giustizia, testimoniò nel maxiprocesso del 1986) in quanto autori di attentati e delle successive stragi di mafia.

Quella che viene definita come la "seconda guerra di mafia" è sicuramente il periodo più cruento e sanguinoso nella storia di Cosa Nostra; sempre per motivi connessi con la lotta tra le "famiglie" mafiose (in questi anni lo scontro fu tra i Corleonesi, di cui facevano parte Provenzano e Riina, e la "famiglia" dei Bondate) vennero compiuti numerosi omicidi sia sul suolo siciliano che americano. In questi anni si compie l'assassinio dell'onorevole Pio La Torre (il 30 aprile 1982, che aveva proposto per primo una legge che avrebbe introdotto il reato di "associazione mafiosa"), e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, chiamato da Roma per arginare l'ondata criminale che stava dilaniando la Sicilia.

Negli anni '90, a seguito del pentimento di Tommaso Buscetta che collaborò con il magistrato Giovanni Falcone, e in conseguenza del maxiprocesso di Palermo del 1986 in cui vennero emesse oltre 340 condanne di primo grado tutte connesse con il mondo della criminalità organizzata di Cosa Nostra (grazie alla collaborazione del pool antimafia in cui figurano sia Giovanni Falcone che Paolo Borsellino, coordinati dal sostituto procuratore Giuseppe Ayala), le stragi di mafia colpiscono al cuore dello Stato italiano e affondano le istituzioni votate al compito di repressione e decostruzione della cupola di Cosa Nostra: nel marzo 1992 viene assassinato l'onorevole Salvo Lima, parlamentare siciliano; due mesi più tardi, nella "strage di Capaci", perde la vita il magistrato Giovanni Falcone in uno dei più meschini attentati di cui si è macchiata la mafia siciliana; nemmeno due mesi dopo, il 19 luglio, viene assassinato sotto casa sua il giudice Paolo Borsellino.

Sono questi gli anni degli attentati contro lo Stato a cui si reagì inviando un contingente militare in Sicilia e instaurando il cosiddetto "carcere duro" per i mafiosi secondo la norma dell'articolo 41-bis che portò numerosi mafiosi a collaborare e, di conseguenza, condusse all'arresto di diversi boss che latitavano da tempo in Italia. I due autori delle stragi verranno arrestati più tardi: Riina nel 1993 e Provenzano nel 2006.

L'ultimo boss di Cosa Nostra, latitante dal 1993, è Matteo Messina Denaro, ancora protetto da numerosi fiancheggiatori fedeli al loro boss.

La "nuova" mafia

Le organizzazioni criminali sopravvivono perché sono in grado di adattarsi ai diversi contesti in cui si infiltrano e di riuscire, con l'utilizzo della forza, dei contatti o con il loro potere economico a stare al passo con le nuove dinamiche di globalizzazione che interessano il mondo.

Quando la mafia italiana ha compreso che la lotta contro le istituzioni pubbliche avrebbe avuto un costo esagerato per la sopravvivenza dell'organizzazione, ha preferito evitare un approccio violento e sovversivo, preferendone uno più calibrato e studiato che garantisse l'impunità dei suoi membri grazie alla collusione e all'infiltrazione negli apparati statali.

L'organizzazione criminale si è adattata ad un contesto in cui la violenza pubblica ed ostinata non avrebbe portato guadagno maggiore di quello garantito dall'infiltrazione nel tessuto economico-finanziario che permette all'organizzazione di stringere legami forti con altri nuovi "concorrenti": terroristi, signori della guerra, miliziani, ma anche multinazionali o aziende private che sono coercitivamente indotte ad entrare nel sistema grazie al fenomeno della corruzione.

Basti pensare al fatto che la mafia è connessa non più solamente con i "soliti" crimini (corruzione, traffico di armi, traffico di droga), ma anche e soprattutto con il monopolio di materiali radioattivi, commercio di esseri umani, prostituzione di donne minori, traffico di organi e, non per ultimo, con il mondo finanziario. Non a caso la criminalità organizzata viene definita come un'impresa organizzata allo scopo di ricavare vantaggi economici con attività illecite mirate: è evidente che l'organizzazione criminale è ormai transnazionale in quanto il fenomeno non è più circoscrivibile nei confini di una nazione, bensì è inserita nelle dinamiche economiche e finanziare che connettono tutti i paesi del mondo.

Per riprendere il quesito iniziale, è opportuno inquadrare il fenomeno del crimine organizzato all'interno del contesto in cui si sviluppa; come una piovra, si estende nei diversi contesti in cui si trova a contatto e si espande di anno in anno. È un fenomeno in costante evoluzione che risulta essere molto "scivoloso" per chi prova a rimanerci a contatto. L'universo del crimine organizzato si è inserito nelle dinamiche di globalizzazione transnazionale cooptando gli elementi della "vecchia" struttura all'interno di un panorama di possibilità più ampio in cui agire; questa "differenziazione" dei compiti permette all'organizzazione di assumere contorni più opachi, di mimetizzarsi con le istituzioni globali e impedisce di tracciare dei confini netti. A questo punto, invece di chiederci perché non si parli più di mafia, sarebbe più efficace, per rintracciare l'attività criminale nei diversi contesti, chiedersi: "dove non si parla più di mafia?".