Da quel 23 maggio 1992 sino ad oggi, Palermo non è più la stessa. È una città che si trascina con sé le ferite, il terrore e un po' di speranza. Sono trascorsi ventisei anni, quando un'esplosione diede origine a quella che verrà sempre da allora come La strage di Capaci. In una galleria nell'autostrada che congiunge Palermo a Mazzara del Vallo, furono nascosti cinquecento chilogrammi di tritolo. Il forte scoppio, memorabile per i cittadini che si trovavano vicino al raccordo dell'autostrada di Capaci, uccise il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i poliziotti della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo.

Ricostruzione dell'attentato del 23 maggio 1992

A mettere in moto l'interruttore che attivò l'esplosione fu Giovanni Brusca, l'uomo che assassinò Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito della mafia. L'assassinio di Giovanni Falcone fu organizzato dopo un avvicendamento di conferenze della 'cupola', l'organizzazione che radunava i leader delle più importanti famiglie mafiose, in quegli anni capeggiate dal mammasantissima Totò Riina, il pirotecnico di Cosa Nostra che compresse l'esplosivo per incrementare l'abilità annientatrice.

Per bloccare l'ingresso della galleria, dove i mafiosi offuscarono il materiale esplosivo, furono usati una rete di una branda ed un materasso. Ora nella zona dove fu azionato l'interruttore del telecomando è presente un piccolo edificio di colore bianco.

Sul tetto di quest'ultimo, è riportata la scritta 'No alla mafia', una specie di saluto di accoglienza che i cittadini desiderano dare a tutti quelli che attraversano l'autostrada che conduce all'aeroporto 'Falcone e Borsellino' a Palermo.

Falcone e la moglie Francesca Morvillo erano stati seguiti da Roma

Secondo gli inquirenti, i mafiosi avrebbero pedinato i malcapitati da Roma fino a Punta Raisi, frazione di Cinisi.

Chi inseguiva Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, quindi, ha gradualmente comunicato al pirotecnico tutti gli spostamenti in accostamento alla zona scelta per l'attentato. Il giudice Falcone era a Roma perché a quei tempi era responsabile degli Affari penali del Ministero della Giustizia. La strage avrebbe provocato almeno dieci vittime.

Tutti i cittadini di Palermo rammentavano esattamente dove si trovassero e cosa facessero quel pomeriggio di quello straziante giorno. Nelle abitazioni ci si chiedeva che cosa potesse essere accaduto, in quanto i programmi televisivi vennero fermati per le irruzioni di telegiornali che riportavano i titoli 'Strage a Palermo'. Le persone erano impietrite dal terrore che sarebbe continuato fino al 19 luglio, quando i mafiosi assassinarono, il magistrato Paolo Borsellino e i poliziotti Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano, Claudio Traina ed Emanuela Loi.