È tutta colpa di Conte, è vero. Avessimo vinto qualche partita in più, saremmo in fila a riscuotere il tesserino da C.T. in vista dei prossimi mondiali di calcio; vetrina importante, troppo importante, per astenersi da giudizi tecnico-tattici di un acume sovrannaturale. Chissà perché ancora ci tocca usare lo schermo del cellulare per ostentare le nostre capacità intellettive.

Ma non è questo il momento di piangersi addosso: via un Conte, dentro un altro. Non abbiamo davvero tempo per respirare che già ci troviamo in fila a ritirare la laurea ad honorem per il nostro spiccato senso costituzionale.

Una capacità interpretativa di portata talmente vasta da permetterci un’analisi analitica delle disposizioni in grado di imbrigliare chi, ancorchè presidente della Repubblica, è costituzionalista ed ex giudice della Corte. Ma che importa, non è ora di piangere, figuriamoci di fare a gara di modestia. E poi se piangiamo di questo, ci svegliamo con l’80% in mano agli antagonisti: dunque piangiamo d’altro.

Piangiamo, ad esempio, perché è stato bloccato il cambiamento. Anzi, non preoccupiamoci neanche di questo, perché dicono sia arrivato. Agli sfacciati che dubitano ancora dei nostri quozienti intellettivi o della rapidità degli interventi, ‘mostriamo i numeri, mostriamo i fatti’. Iniziamo da un numero preciso e da un nome in particolare: il numero è l’1 e il nome è quello di Soumayla Sacko.

Il 29enne maliano è l’ultima vittima di una lunga schiera di migranti, ma la prima dall’avvento del punto zero, il fresco vento del cambiamento. Se poi quel vento è tanto forte da provocare le ondate che ribaltano i barconi o le piogge di proiettili che colpiscono bersagli in movimento, è ora di ripararsi perché ‘è finita la pacchia.

Sono le parole che Salvini proferisce ad una delle prime interviste da Ministro dell’Interno, mentre qualcuno imbraccia un fucile, esce da una Panda Bianca e inizia a sparare su Sakho e altri due migranti di un campo profughi nei pressi di Gioia Tauro, intenti a cercare vecchie lamiere in una fabbrica abbandonata. Un morto e due feriti.

D’altra parte chi non vorrebbe essere venduto schiavo, torturato, seviziato, lasciato senza cibo né acqua; chi non vorrebbe vedere i propri figli morire tra le braccia, agonizzanti sulle spiagge, o ancora lavorare nella tetra ingordigia di contratti fantasma, sgobbare 16 ore per 7 euro a giornata, dimenticati in un campo di pomodori, senza un documento, un diritto, il passaporto di umano ormai soffocato da quella pacchia trasformata in marea, in proiettile, nella bocca di un Ministro della Repubblica che ‘riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo in ottemperanza al dovere inderogabile di solidarietà’.

È scritto in quella Costituzione che per 2 lunghissime giornate è stata solo articolo 92 e 90, letta attraverso la lente britannica per essere spiegata a coloro che non si sono seduti al banco dei vincitori pur avendo le carte in regola per farlo, o al banco di un tribunale, magari, dove sarebbe stato rispolverato qualche capo di accusa penale.

C’è bisogno di ricordare dell’altro? Ma no, impeachment. Non è questo il momento dei grandi numeri, dell’ampiezza degli ordinamenti. Ci vuole capacità di sintesi, numeri bassi, poche cose insomma. Un numero, il numero uno; un nome, Soumayla Sacko; una parola, pacchia; un motto, prima gli italiani.

Non importa se in questa semplificazione si perdono per strada alcuni pezzi, o altre figure scompaiono senza lasciare traccia, come fantasmi in cimiteri a cielo aperto. Non è un problema se nella nomenclatura delle disposizioni che reggono l’ordinamento la luce dello schermo che proietta l’acume intellettuale si focalizzi solo su un comma di un articolo di un documento inserito negli oltre 30mila. E non importa neanche se i ministri usino tarocchi per far scomparire formazioni sociali, corpi intermedi o aspetti della realtà: d’altro canto chi ha mai visto una coppia omosessuale?

Non esistono, sembra ovvio. Basta chiedere a Fontana, neo ministro della famiglia.

Sono molto arrabbiato’, direbbe qualcuno. Soprattutto perché c’è un problema più grande delle peripezie dei Conti allenatore e presidente del Consiglio: c’è un problema di acume, un problema di memoria.

La Francia e i migranti: due storie, due esiti diversi

Se il dio del calcio dettasse profezie di vita, quell’oracolo che annuncia un sibillino 3-1 per i cugini francesi nell’ultimo incontro, potrebbe contenere una chiave di lettura differente. E se in territorio italiano il numero uno è quello di Sacko, in quello francese il numero è il due e i nomi sono quelli di Aymen e Mamadou Gassama, due nomi diversi, due storie diverse che recano un finale diverso.

Il video del migrante Gassama che si arrampica a mani nude per 4 altissimi piani nel tentativo di salvare un bambino penzoloni dal proprio balcone ha fatto il giro del mondo ed ha regalato al maliano la promessa dei documenti francesi. La grazia concessa da Macron si è accodata al successo del giovane che può vantare una fortuna più grande: essere stato ripreso dal telefonino di uno sconosciuto nell’atto eroico. Occorre, dunque, un episodio straordinario per dimostrare di essere buoni e accodarsi al paradiso dei privilegiati che- illo tempore- hanno potuto dimostrare le proprie abilità di esseri umani grazie ad un’impresa altrettanto degna di nota: la fortuna di essere nati in un contesto pacifico.

Mica cosa da niente.

Basterebbe parlare con Aymen per capire che di fortuna si tratta, alle volte. Il ragazzo tunisino nel 2015 è in un bar con un amico e un cugino e sente il grido di una donna che da un giardino guarda il suo appartamento andare in fiamme con i bambini di 4 anni e di 19 mesi intrappolati all’interno. Non esita a gettarsi nel fuoco salvando i bambini. La donna racconta a tutti l’accaduto e il sindaco consegna tre medaglie ai ragazzi e s’interessa di far ottenere ad Aymen il permesso di soggiorno a titolo straordinario. La burocrazia fa il suo corso fino a pochi giorni fa, quando al ragazzo è notificato l’avviso di espulsione dalla Francia. Non era stato filmato da nessuno.

Ecco i due volti della medaglia: qualcuno la indossa in campo, altri in un campo profughi prima di essere espatriati. Una domanda resta aperta. Oltre all’invisibilità e la pacchia, di quali altri super-poteri sono dotati codesti migranti?