Al di là degli orizzonti che l’Italia ha cominciato a guardare negli ultimi tempi attraverso il contendersi di volontà verso riforme strutturali del Paese, vi è un mare fatto di mercati, anche nuovi, ed innovazioni che potranno scongiurare non solo future recessioni, bensì una possibile fase di stallo mondiale.
Le stime del Fondo Monetario Internazionale raccontano i sintomi di una possibile fase di stallo
La semplice politica creditizia potrebbe non essere più sufficiente per riprendersi da un circolo vizioso che alterna ormai da tempo fasi di recessione con fasi di ripresa economica.
Lo dicono i dati relativi agli investimenti mondiali degli ultimi anni. Gli Stati Uniti infatti hanno alzato recentemente i tassi di interesse, segnale questo che vorrebbe essere di una ripresa economica non supportata però da riforme strutturali e tanto meno da una domanda che non si è pienamente ripresa. Questo aumento di tassi già nel 2015 ha portato i Paesi in via di sviluppo ad investire in quelli industrialmente avanzati con un trilione di dollari, un’inversione di tendenza rispetto quanto successo fra il 2002 e il 2014, quando gli investimenti dei Paesi cosiddetti “ricchi” verso quelli “poveri” è incrementato da 240 mld a 1,1 trilioni. Questi disinvestimenti sono un segnale del fatto che neanche nei Paesi in via di sviluppo esiste un terreno fertile affinché i mercati possano incrementare.
Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale
Secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale sembra però che lo stesso valga per i Paesi industrializzati. Lo dicono le stime relative al tasso di crescita del Pil che per il 2020 sarà mediamente inferiore del 6%, in particolare per l’Europa del 3%. Di pari passo vanno le stime dell’inflazione per il periodo fra il 2020 e il 2025: soltanto negli USA l’inflazione sarà inferiore del 1,5% e nessuna Banca Centrale prevede di superare il 2%.
Questo significa che la differenza fra i tassi di interesse e l’inflazione tende ad azzerarsi, l’economia mondiale sarà in condizioni di bassa crescita, bassa inflazione e tassi prossimi allo zero, condizioni cioè di stagnazione. Questo fa nascere già da oggi l’esigenza di uscire dagli schemi di una politica creditizia della quale si vedono i limiti.
Necessitano non più solo riforme politiche strutturali: quando queste saranno ultimate fra tre anni ci si domanderà dove indirizzare nuovi investimenti redditizi e duraturi e la strada non può che essere quella dell’innovazione di prodotti e nella creazione di nuovi mercati.