Il tanto atteso finale di "Game of Thrones" è finalmente andato in onda. L'episodio ha in gran parte messo in evidenza le caratteristiche che hanno contraddistinto quest'ottava stagione: velocità e approssimazione.

Reduci dalla terribile regressione di Jaime Lannister e dalla morte indegna della regina Cersei, gli spettatori sono stati definitivamente stroncati da questa puntata conclusiva che al contempo ha segnato la chiusura dell'intera saga fantasy.

Analisi dell'ultimo episodio di 'Game of Thrones'

La scena iniziale è dedicata a Tyrion Lannister che, nella devastazione di Approdo del Re, piange i suoi fratelli morti sotto le macerie.

Successivamente si vede Daenerys Targaryen intenta a camminare verso il suo esercito con Drogon alle sue spalle. Le ali del drago aperte dietro di lei danno l'illusione ottica di una figura alata, quasi a consolidare la sua metamorfosi in regina dei draghi. Dopo essersi detta convinta di aver liberato Approdo, promette che farà lo stesso con il resto del mondo, ma a questo punto riceve una secca risposta da Tyrion che, rinnegando il suo ruolo di primo cavaliere e pentendosi di averla servita come regina, getta la sua spilla con disprezzo e per questo motivo viene fatto prigioniero. È apprezzabile come con questo gesto e con i suoi interventi successivi il personaggio interpretato da Peter Dinklage recuperi alcune delle prerogative che lo avevano caratterizzato nelle stagioni precedenti.

Non si può dire la stessa cosa, invece, di Jon Snow. Da paladino, trait d'union tra lord e popolo libero, finisce per diventare un personaggio secondario. Perde totalmente spessore, come del resto dimostrano le sue uniche due battute significative: "Lei è la regina" e "Io non voglio il trono".

Giunti a metà puntata, i telespettatori s'imbattono nella fine della "madre dei draghi": trafitta da Jon Snow, Daenerys trova la morte.

Una conclusione giusta e necessaria per una regina la cui mente è ormai alla deriva. Tuttavia, lascia qualche perplessità la modalità con cui si sia scelto di mostrare la dipartita di un personaggio così importante; una fine piuttosto banale, senza infamia e senza lode. L'intera vicenda è stata sviluppata troppo velocemente, come se ci si volesse sbarazzare di questa storica protagonista al più presto.

Dopo un inatteso salto temporale, ci si ritrova di fronte alla città quasi completamente ricostruita, con Jon prigioniero, gli Immacolati al governo provvisorio e Tyrion a processo. Il procedimento di giudizio si tiene in un improbabile salottino composto da lord e lady delle famiglie più importanti di Westeros, nella Fossa del Drago. Manca un reggente che possa emettere la sentenza definitiva, e così Verme Grigio ha la sconclusionata idea di far scegliere a Tyrion, avvocato di se stesso, il nuovo re. Assurdo come un prigioniero a processo possa avere la facoltà di indicare il nome di colui che dovrà portare la corona. Ad ogni modo, Lannister stabilisce che il monarca dovrà essere eletto dalle casate principali e non seguendo un principio di discendenza.

La scelta ricade su Bran che accetta senza batter ciglio, aggiungendo di essere lì proprio per quel motivo. Una decisione che appare piuttosto forzata, giacché il giovane Stark non poteva essere lord di Grande Inverno, essendo corvo a tre occhi. Questa posizione però non gli impedisce di accettare la corona senza colpo ferire. Il novello re decide di "punire" Tyrion nominandolo primo cavaliere e, in accordo con Verme Grigio, di spedire Jon alla barriera insieme ai Guardiani della notte, una soluzione che, in questa fase della narrazione, appare di scarsa utilità.

La fine di Jon non dispiace: infatti si spinge oltre la barriera insieme al popolo libero, allontanandosi una volta per tutte dal "gioco dei troni".

Una conclusione perfetta se non fosse che, mentre lo si guarda andar via con i bruti, viene da chiedersi quale sia stato lo scopo della gonfiatissima - e probabilmente inutile - notizia riguardante le sue origini Targaryen.

Destini più attinenti sono quelli di Arya e Sansa. La prima intraprende un viaggio alla scoperta di nuove terre, motivazione che non sorprende vista la sua personalità, mentre la seconda viene eletta regina del Nord, una terra che finalmente ha ottenuto l'indipendenza dal fratello re della Stark. Quest'epilogo appare certamente adatto e meritato per una protagonista rimasta sempre fedele a se stessa. L'assurdità in questo caso consiste nella leggerezza con cui Bran concede il distacco del Nord dalla corona senza che nessun altro Lord - tra cui Yara delle Isole di Ferro e il principe di Dorne - oppongano la benché minima resistenza.

Tra gli altri personaggi ricordiamo Brienne che meritatamente diventa guardia reale, Podrick che diviene cavaliere, Sam gran maestro, Bronn maestro del conio (la cui ragione è difficile da comprendere) e "vissero tutti felici e contenti". Tutti tranne Drogon, volato chissà dove con il corpo della madre tra gli artigli, si spera destinata ad una degna sepoltura.

Conclusione

Se l'obiettivo della produzione di "Game of Thrones" era di inscenare un epilogo frettoloso, questo può dirsi del tutto riuscito. Le storie dei personaggi e l'intero racconto di questa stagione sembrano aver subito un gigantesco "dracarys" che ha causato dei vuoti non trascurabili. Evidentemente agli sceneggiatori è mancato il solido appoggio dei libri di George R.R.

Martin e, non sapendo trattare una storia così brillante, hanno finito per vederla esplodere tra le loro mani, trasformandola come fossero "due re Mida al contrario": da oro a qualcosa di meno nobile.

Va riconosciuta comunque la bellezza visiva della stagione, le battaglie e la regia di alto livello. Tuttavia questo pregio potrebbe anche essere una delle cause della delusione finale: infatti si ha l'impressione che la sceneggiatura sia stata messa al servizio dell'estetica, creando così un bell'impatto visivo, ma sacrificando al contempo quelle connessioni, intrecci e spessori psicologici che hanno costituito il successo de "Il Trono di Spade".

Dispiace pensare che possa essere considerata come la propria serie preferita ma dal finale deludente, almeno in parte.