Luca Palamara è stato espulso dalla magistratura. Questa la decisione della Sezione disciplinare del Csm, che ha accolto le richieste formulate dal sostituto Pg presso la Corte di Cassazione Simone Perelli al termine della requisitoria durante l'udienza dello scorso 8 ottobre. Riconosciuto un atteggiamento "di elevatissima gravità", da parte dell'(ex) pm romano, l'aver coinvolto - secondo l'accusa per puri "interessi personali" - due politici, quali Luca Lotti e Cosimo Ferri, entrambi di area Pd, nella nomina del successore dell'uscente Giuseppe Pignatone nel ruolo di capo della procura di Roma.
Ciò avveniva, infatti, in un contesto che vedeva (e vede) Lotti imputato nell'ambito dell'inchiesta Consip condotta dalla stessa procura di Roma.
Quanto hanno inciso sulla vicenda processuale le intercettazioni dell'hotel Champagne
La vicenda dell'hotel Champagne, dove nella notte tra l'8 e il 9 maggio Palamara insieme a cinque consiglieri del Csm - a loro volta sottoposti a procedimento disciplinare - discuteva con Lotti e Ferri di come 'pilotare' la nomina del nuovo procuratore capo di Roma, ha rappresentato, secondo l'avvocato generale della Cassazione Pietro Gaeta, "un unicum nella storia della magistratura italiana". Le intercettazioni, già ammesse dal gip nel procedimento penale che vede l'ex presidente dell'Anm accusato di corruzione (per il quale lo scorso 25 agosto la procura di Perugia aveva chiesto il rinvio a giudizio), erano state acquisite nei giorni scorsi anche nel processo disciplinare.
Cruciale la circostanza che la polizia giudiziaria non fosse, all'epoca dei fatti, nelle condizioni di poter 'prevedere' la presenza dei politici in questione nella camera d'albergo al momento dell'attivazione del captatore informatico (il trojan) inoculato nel cellulare di Palamara.
Ad 'inchiodare' il pm nell'atto di intavolare trattative informali con esponenti del mondo politico, sono state le parole (inizialmente trascritte male) "Si arriverà su Viola".
Il riferimento, cioè, al nome del procuratore generale presso la Corte d'Appello di Firenze, al quale nei giorni seguenti Palamara avrebbe permesso di ottenere la maggioranza dei voti del Csm, con delibera che verrà poi annullata e sostituita dalla proposta di tre nuove candidature, fra cui prevarrà Michele Prestipino Giarritta.
Infatti, è stato ritenuto dall'accusa che senza l'opera 'di mediazione' compiuta da Palamara "non ci sarebbe stata la riunione dell'hotel Champagne e dunque l'interlocuzione tra rappresentanti istituzionali e l'onorevole Lotti, che ha incluso il parlamentare in decisioni strategiche" del Csm, realizzando un "indebito condizionamento" delle funzioni dell'organo stesso.
Dal discredito nei confronti di Paolo Ielo alla consapevolezza dei propri errori: tutto questo è Palamara
Si è contestato a Palamara anche il fatto di aver tentato di gettare discredito sulla figura del procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo, nell'ambito di una strategia, condivisa con Lotti, volta a collocare a Perugia un "procuratore addomesticato".
Fatti di altrettanta gravità, al pari delle chat rese pubbliche lo scorso maggio, che non possono non risultare disdicevoli quando a pronunciarle è un magistrato.
Sotto questo profilo, Palamara non si è mai sottratto alle proprie responsabilità. Ma non sono mancati nemmeno i vari j'accuse contro un sistema correntizio ritenuto, a ragione, fallimentare, e in grado solo di alimentare una spartizione degli incarichi di vertice delle principali procure italiane sulla base del 'colore' della corrente.
Superare le 'degenerazioni del correntismo' (forse) si può
Se il collegio abbia deciso correttamente, senza violare il diritto di difesa di Palamara - come invece ravvisa l'avvocato Stefano Guizzi, il quale proporrà molto probabilmente impugnazione davanti alle Sezioni Unite della Cassazione e, se necessario, ricorso dinanzi alla Corte di Strasburgo - è questione che compete ai giudici di ultima istanza.
Quello che invece la magistratura può fare già da subito, è partire dalle risultanze di questo processo per avviare una profonda riflessione interna, il cui sbocco sia il più coraggioso e radicale: l'allontanamento da un sistema, quello delle correnti, che a tante storture e degenerazioni ha portato, senza per giunta essere garantito formalmente da alcuna norma di legge né tantomeno costituzionale.
Occorre che il potere giudiziario organizzi la svolta verso un progressivo, ma deciso, ritorno alla legalità. Il che si potrà realizzare solo quando verranno meno tutti i potenziali ostacoli e i condizionamenti di poteri e interessi personali che si possano frapporre tra il magistrato e l'esercizio della propria funzione.