In politica non esistono angeli o diavoli, ogni leader ha scritto pagine importanti, nel bene o nel male. La Storia è scritta dai vincitori e Fidel Castro, morto a 90 anni e per quasi mezzo secolo alla guida di Cuba, è uno di questi. La 'conferma' arriva addirittura da Donald Trump e dal suo staff, dalla grande esultanza del vice presidente degli Stati Uniti, Mike Pence, che in un tweet parla di "tiranno morto" e di "Cuba libera e democratica". Forse la nuova amministrazione della Casa Bianca ignora, colpevolmente o volutamente, l'epoca in cui appoggiava il regime di Fulgencio Batista, prima della rivoluzione castrista, ma queste sono vecchie storie.

Ad ogni modo Fidel Castro rappresentava l'ultimo dei problemi statunitensi ed esultare per la sua scomparsa, per una vecchia 'spina' estratta solo nel momento della sua morte naturale, gli conferisce ulteriore importanza e prestigio. La fine di un antico nemico è un inutile palliativo per un'America politicamente sconfitta che viaggia spedita verso un'altra disfatta in Medio Oriente. Ma Trump ha buoni motivi per esultare: se la situazione fosse diversa, probabilmente, non avrebbe vinto le elezioni presidenziali.

Il tentativo di voltare pagina

Alla guida di Cuba dal 1959 al 2008, fino a quando la salute malferma lo ha spinto a consegnare le redini del governo nelle mani del fratello Raul, Fidel Castro ha segnato una parte importante del XX secolo e la sua sfida impossibile contro il colosso statunitense ha vissuto momenti di vera tensione, come la crisi del 1962 ed il lungo embargo tutt'ora in atto.

Ben undici i presidenti che si sono alternati alla Casa Bianca durante il governo castrista a L'Avana, da Eisenhower ad Obama, passando per Kennedy, Johnson, Nixon, Ford, Carter, Reagan, George H. Bush, Clinton e George W. Bush. La 'spina' aveva tormentato un pò tutte le amministrazioni di Washington. Kennedy tentò il 'colpo di mano' nel 1961 ma andò incontro ad un misero fallimento, lo stesso presidente si impegnò a non violare la sovranità di Cuba nell'ambito degli accordi raggiunti con l'URSS l'anno successivo, dopo la crisi missilistica.

Barack Obama ha tentato di segnare la svolta, primo presidente statunitense a visitare Cuba nel dopoguerra e, nell'ambito di una distensione già avviata, si era impegnato a valutare la possibilità di togliere l'embargo. Il tentativo di sanare le vecchie ferite da parte dell'amministrazione uscente della Casa Bianca ha riguardato anche l'Argentina, con la promessa al presidente Mauricio Macri di aprire gli archivi dela famigerata 'Operazione Condor', ed il Vietnam, con la sua trasferta dello scorso maggio e l'impegno di accordi commerciali con l'unico Paese che ha inflitto all'America una sconfitta militare.

Oggi è lecito chiedersi se Donald Trump accetterà di proseguire su questa strada: le sue idee in merito sono state finora poco chiare.

Siria, la nuova 'spina'

Fidel Castro e Bashar al-Assad non hanno nulla in comune, se non il destino di aver costretto gli Stati Uniti ad una disfatta politica. Oggi Washington sembra aver abbandonato ogni intenzione di rovesciare il governo di Damasco. La linea recentemente annunciata dal segretario di Stato, John Kerry, e dal ministro degli esteri britannico, Boris Johson, sembra proprio quella di abbandonare i ribelli siriani al proprio destino. Donald Trump, che entrerà ufficialmente in carica a gennaio dell'anno prossimo, ha già prospettato la sua intenzione di riaprire il dialogo con la Russia e di considerare la Siria di Assad nel ruolo di partner nella lotta al terrorismo.

Il rais di Damasco potrebbe dunque trasformarsi da nemico giurato a prezioso alleato e per gli Stati Uniti equivale ad una resa senza condizioni. Che poi Trump addossi tutte le colpe di una politica estera fallimentare a chi lo ha preceduto alla Casa Bianca è un comodo palliativo, così come lo è oggi questa gioia espressa per la dipartita di uno storico nemico, perché Castro in realtà è morto da leader e non è mai stato sconfitto.