È giunta l'ora della protesta. L'amministrazione Trump incassa fin da subito una contestazione radicale: il decreto sull'immigrazione e antiterrorismo, denominato "Protecting the Nation from Foreign Terrorist Entry to The United States", che blocca l'ingresso negli Stati Uniti ai cittadini di sette paesi islamici (Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen) e vieta l'ingresso ai rifugiati di ogni paese e provenienza per 4 mesi, mentre per i rifugiati siriani il divieto è permanente, ha scatenato caos e contestazioni anche davanti alla Casa Bianca.

Inoltre è arrivata anche la presa di posizione di un giudice federale di New York e la risposta di 16 procuratori generali che hanno firmato un atto congiunto in cui si dichiara incostituzionale l'intervento del presidente.

In principio una donna contro Trump: è il giudice federale di New York

Il primo grande intoppo per Trump è una donna, Ann Donnelly, giudice federale di New York che, a fronte di un ricorso di due siriani fermati all'aeroporto di New York, ha emesso un'ordinanza d'emergenza con cui temporaneamente impedisce agli USA di espellere i rifugiati provenienti dai 7 paesi islamici messi al bando dal provvedimento presidenziale.

In tal modo ha bloccato l'espulsione di 109 fermati negli aeroporti americani.

L'intervento del giudice non annulla il decreto Trump, ma ne sospende gli effetti. I ricorrenti "hanno una forte probabilità di successo - è convinta il giudice Donnelly - basata sul fatto che il decreto viola il loro diritto al giusto processo e all'uguaglianza della protezione garantita dalla Costituzione".

Il giudice federale ha solo applicato la legge, ma subito è diventata il simbolo dell'America, paese dell'accoglienza e dei diritti, specie per chi fugge da guerre, dittature e povertà: un'icona per i democratici ma anche per i conservatori che non approvano la politica di Trump, a cominciare da 10 parlamentari repubblicani guidati dai senatori McCain e Graham che l'hanno criticato.

16 procuratori generali contro Trump

Alla battaglia legale del giudice Donnelly e di tre colleghe di altri Stati, si è aggiunta la mobilitazione dei procuratori generali di 16 Stati che, in una dichiarazione congiunta, hanno condannato il decreto presidenziale perché "incostituzionale".

I procuratori si appellano al diritto alla libertà religiosa, auspicano che l'ordine esecutivo sia ritirato, e si impegnano a garantire che il minor numero di persone soffra in questa situazione di caos.

Gli stati cui appartengono i firmatari sono Washington, California, New York, Pennsylvania, Massachusetts, Hawaii, Virginia, Oregon, Connecticut, Vermont, Illinois, New Mexico, Iowa, Maine e Maryland.

Le organizzazioni a favore dei diritti civili sono al lavoro per neutralizzare il provvedimento Trump. Intanto numerose manifestazioni di protesta montano in tutto il Paese, non solo a Washington e davanti alla Casa Bianca, ma anche a New York, nei pressi della Statua della LIbertà, monumento simbolo delle politiche di accoglienza negli Usa, senza dimenticare l'aeroporto JFK (sempre di New York), dove la folla intona slogan quali "No alla messa al bando dei musulmani" o "siamo tutti musulmani".

Trump: la sua difesa via Twitter

Il presidente cerca di aggiustare il tiro e lo fa via Twitter: "Al nostro paese servono confini forti e controlli rigidi, ora. Guardate cosa succede in Europa e in tutto il mondo, un caos orribile".

In un comunicato stampa ha aggiunto che il suo provvedimento non è un bando contro i musulmani, come riportato dai media, dal momento che "ci sono 40 paesi nel mondo a maggioranza islamica che non sono interessati dal provvedimento". Infine ha ricordato che gli Usa rilasceranno nuovi visti dopo aver rafforzato i controlli.

Per il resto, Trump va dritto per la sua strada e si scaglia duramente contro i senatori che l'hanno contestato: "dovrebbero concentrare le loro energie sull'Isis, l'immigrazione clandestina e la sicurezza dei confini invece di guardare a come iniziare la terza guerra mondiale".