Era l’uomo dello slogan forte, “America First” e “America Great Again”, ma arrivati al traguardo dei famosi cento giorni, nulla è cambiato - né accenna a cambiare. Il grande no al dumping dalla Grande Muraglia cinese, lo scandalo della chiusura della frontiera ai musulmani, il Grande Muro del Tycoon con il Messico, l’amicizia con Vladimir Putin e i miliardi di dollari promessi alle infrastrutture del paese per ora dovranno aspettare.

Tanto rumore per nulla, can che abbaia non morde. La si metta come meglio si crede, il cliché non cambia.

Eppure il mondo intero batte il clickbait a colpi di toni squillanti tra terza guerra mondiale e Donald lo scandaloso che minaccia Pyongyang mentre assolda ingegneri per il muro contro l’immigrazione latino-americana o scatena proteste di chi non sa se riuscirà a rientrare negli States dopo il Muslims Ban.

Cosa è successo in realtà?

I lavori al muro sono iniziati, è vero, ma sembrano destinati a restare in stallo finché il Congresso non si deciderà a sbloccare i fondi richiesti. Le migliorie stellari alle infrastrutture potrebbero avere un happy ending, il mondo delle grandi imprese ha dato il via libera, ma resta ancora titubante la maggioranza repubblicana e liberista che prevedibilmente non vede certo di buon occhio una così pressante collaborazione con i privati.

La Cina è ancora in piedi, Trump non è riuscito a insinuarsi come credeva in quel contesto internazionale così platealmente bisognoso del made in China e anche se i più lo ritengono un pretesto, non è neanche sottovalutabile il fattore Corea del Nord e gli ardori nucleari che giornalettismo da bar a parte, rimangono sempre una minaccia anti business.

E la spensierata amicizia con Mosca? Per il momento Putin non ha dato segni di cambiamento né in Siria né in Ucraina - e mentre l’FBI apre un’inchiesta su eventuali interferenze in campagna elettorale, il Cremlino assiste esterrefatto al bombardamento alla base del governo di Assad dopo il recente episodio di armi chimiche in Siria.

Le frontiere erano state realmente chiuse ai cittadini dei Paesi musulmani, anche se dotati di visto, ma è bastato il no della Giustizia americana per riaprire la questione, intanto il Congresso si pronunciava sul cestinamento della riforma sanitaria di Obama.

Prima della finale contro Hillary, il candidato Trump è riuscito a dire tutto e il contrario di ogni singola parola da lui pronunciata.

Ha imposto un controverso marchio politico con il suo nome, gonfiato a dismisura tanto da piacere a molti anche in Europa, soprattutto alle grandi destre del Vecchio Continente. Ma oggi, dopo i primi cento giorni di mandato è abbastanza chiaro che poco o nulla aveva senso realmente e al resto del mondo non rimane che assistere tra pragmatismo di buon viso e cinismo dilagante che il buon Donald è molto più conservatore di quanto si potesse pensare, soprattutto nel trauma post-presidenza che minaccia di lasciare: una lunga e rischiosa serie di provvedimenti per l’America del capitale, uno dei pochi settori in cui ha davvero voce in capitolo.