Per alcuni è stata una festa della democrazia. Tra i lemmi più diffusi e ripresi da deputati, senatori, simpatizzanti, attivisti del Pd. Ieri l'hashtag #primariePD e #primariePD2017 sono stati nei trending topic per tutta la giornata. La mobilitazione, le code nelle sedi del Partito Democratico per poter espletare la propria scelta, sono di alto impatto visivo. Non si discute che l'organizzazione messa in piedi dal partito maggiormente strutturato d'Italia è stata di alto livello e che abbia legittimato la narrativa della democraticità interna, esclusiva - a detta dei suoi - del Pd.

Tanti gli attacchi rivolti al centro-destra e, in particolar modo, al Movimento 5 Stelle. Il contrasto tra democrazia reale e democrazia digitale messo in piedi in maniera sapiente dalle teste della comunicazione 'dem' sono di sicuro effetto. Non solo l'affluenza è stata più alta del previsto (pur considerando il crollo rispetto al 2013) ma il vincitore ne è uscito decisamente rafforzato. Matteo Renzi ha vinto con un risultato plebiscitario (superando di poco il 70%), marginalizzando l'elettorato che ha preferito Orlando ed Emiliano.

Primarie PD: le narrative e i fondamenti

Partendo da questi due elementi principali - affluenza e vittoria schiacciante - si possono ricavare due filoni narrativi.

Partiamo da quella del matador della competizione, il protagonista indiscusso della scena politica italiana: Matteo Renzi. L'ex primo ministro ha ottenuto il massimo risultato con il minimo sforzo (e rischio). Il fiorentino non ha dovuto sporcarsi le mani e tirar fuori la peggior retorica del contrasto nei confronti dei suoi avversari interni.

Orlando ed Emiliano si sono annullati da soli: il primo, ingabbiato dalla posizione ricoperta all'interno dell'esecutivo; il secondo, dall'ostinata (ma sterile) resistenza interna (promessa anche dopo aver accettato la vittoria dell'ex premier), in un partito nel quale lo stesso governatore e i suoi possibili elettori non si identificano da mesi a questa parte.

Proprio questa vittoria schiacciante, leggera nei toni ma pesante negli effetti, garantisce a Matteo Renzi un ritorno in pompa magna come colui che ci salverà dai populismi. Non a caso, lo stesso ex (e nuovo) segretario del PD ha ripreso il tema del populismo in più di un'occasione nel suo discorso di ringraziamento (dimostrando di confondere spesso e volentieri populismo con demagogia). Questo comeback legittima le mire di elezioni anticipate dell'ex sindaco di Firenze. Aiutato dal trionfo plebiscitario con cui si è rilanciato definitivamente nel panorama politico, Renzi propone un PD nuovo, neoliberista, con contentini sociali - necessari per conservare l'ultimo appiglio con i moderati di sinistra - e che sia capace di assorbire tutto il centro dello scacchiere ideologico.

Primarie PD: la personalizzazione e l'intrinseco valore elettorale

Insomma, queste primarie Pd, più che una festa della democrazia, sono state propedeutiche per il ritorno (scontato) del prode Matteo. Il risultato finale era decisamente scontato, come il finale di un film già visto. Queste primarie sono state un puro strumento elettorale, giocato al momento giusto dal mattatore fiorentino. Gli avversari di Renzi hanno tirato indietro la gamba e non hanno provato a competere per la Segreteria; ciò non significa che vi fosse alcun accordo previo tra i tre. Bensì, semplicemente, che il PD è talmente personalizzato e dipendente dalla figura di Renzi che nessun oppositore avrebbe potuto impensierirlo.

Il fiorentino si rilancia così, in maniera definitiva, verso l'Olimpo politico. Nessuno come lui può vantare un tale attrattivo mediatico ed è senza alcun dubbio l'oratore più capace sulla piazza. In tempi in cui i personalismi vengono mal visti, ma preferiti nel segreto dell'urna, il giovane reduce della DC è pronto all'assalto di Palazzo Chigi. Stavolta sì, dall'entrata principale.