Dopo la sconfitta bruciante al Referendum Costituzionale del 4 dicembre scorso, Matteo Renzi può ora rientrare dalla porta principale del Partito Democratico. “Guai a chiamarla una rivincita” si è affrettato a ribadire l’appena rieletto segretario, legittimato dal voto del suo popolo che non ha lasciato spazio a particolari interpretazioni. Con quasi il 71 per cento, infatti, Renzi ha dominato le primarie lasciando soltanto le briciole ad Andrea Orlando (21 per cento) e a Michele Emiliano (8 per cento). Un’affermazione importante che arriva in un momento cruciale del Pd, forse il più delicato della sua breve e intensa storia.

Se la vittoria di Renzi era stata largamente prevista dagli addetti ai lavori, in pochi avrebbero scommesso su di un’affluenza di due milioni di persone. Rispetto alle primarie del 2013 una flessione c’è stata (di circa 900mila persone) è vero, ma la soglia finale registrata rappresenta una boccata d’ossigeno per il PD oltre che un segnale forte per tutti gli altri partiti che continuano a considerare le primarie uno strumento superfluo. La domanda che ora circola al Nazareno (e non solo) è una sola: come sfrutterà Renzi un simile plebiscito?

Quei buoni propositi

Memore delle accuse e degli errori di un passato nemmeno troppo lontano, Renzi ha rassicurato l’elettorato democratico con un discorso colmo di buoni propositi.

Affermazioni come “il nuovo PD”, “lavoriamo insieme” e “avanti uniti” formulate a caldo dal segretario, rappresentano un preciso cambio di rotta nella retorica del personaggio. Archiviati decisionismo schizofrenico e uomo solo al comando che tanti danni hanno causato, si è aperta la stagione del collaborazionismo. Renzi nelle ultime settimane ha lasciato aperte diverse porte non ricevendo particolari segnali al di là delle barricate.

Gli stessi Orlando ed Emiliano, pur accettando il verdetto schiacciante in favore dell’ex premier, hanno fissato i primi paletti per Renzi. Tutto dipenderà dalla fatidica nuova legge elettorale o dalle modifiche che verranno apportate al Porcellum costituzionalizzato. Se dovesse essere confermato l’impianto proporzionale, le alleanze fungerebbero ancora da ostacolo.

Come a voler mettere le mani avanti, il leader democratico ha rispolverato gli slogan del fu Italicum, consegnando ai vincitori del Referendum la responsabilità morale della ricerca di una soluzione.

Fiducia in Gentiloni

Chi può vivere sogni tranquilli fino alla scadenza naturale della legislatura è il governo di Paolo Gentiloni. L’ultima prova di forza di Renzi non comporterà nuovi ribaltoni a Palazzo Chigi. Oltre che essere un fedelissimo dell’ex sindaco di Firenze tanto dal dichiarargli il suo sostegno alle primarie, Gentiloni ha convinto tutti in una fase di aperta transizione. Con il più renziano dei renziani alla guida dell’esecutivo, Renzi potrà impegnare il tempo che lo separa dalle urne nella ricerca delle sponde più favorevoli dentro e fuori dal Parlamento.

Con lui ci sarà Maurizio Martina, il vero garante della ritrovata casa PD sul terreno del Centrosinistra. Toccherà in primis al ministro delle Politiche Agricole centrare l’obiettivo di arrivare a un’intesa con i Progressisti. Per ciò che concerne il capitolo della nuova legge elettorale, Renzi ha sposato Matteo Richetti. Dimenticate le ruggini di un tempo, l’ex consigliere regionale dell’Emilia Romagna è stato scelto perché molto apprezzato anche dall’ala più intransigente del Movimento5Stelle. Se a un accordo bisognerà pur arrivare, non è escluso che il PD risolva il rebus a braccetto con il suo nemico giurato.