Nonostante i tentativi di Israele di smorzare la tensione, i palestinesi non mollano: lo sciopero della fame va avanti da un mese.

Sono all'incirca 1600 i prigionieri palestinesi che da ormai un mese stanno portando avanti uno sciopero della fame con lo scopo di protestare contro le condizioni di detenzione inumane delle carceri israeliane.

Si tratta di uno dei più grandi scioperi di detenuti palestinesi degli ultimi anni. Questa protesta è stato lanciato durante la "Giornata dei prigionieri", che si celebra da oltre 40 anni, con manifestazioni molto partecipate dove migliaia di persone scendono in piazza in solidarietà dei detenuti.

Un mese di disobbedienza civile: prosegue il digiuno dei prigionieri palestinesi

In particolare i detenuti rivendicano la fine dei divieti delle visite dei familiari, il diritto ad appropriate cure mediche, il diritto all’educazione in prigione, all'accesso ai telefoni e la fine dell’isolamento e della “detenzione amministrativa” ossia l’incarcerazione senza accusa o processo.

La protesta è guidata dall'attivista di Al Fatah, Marwan Barghouti, ormai diventato un simbolo della resistenza non violenta, che è riuscito a far pubblicare le ragioni dello sciopero sul New York Times. Barghouti è in carcere nella prigione di Hadarim da ormai da 15 anni, e deve scontarne altri 25, ma nonostante la lunga detenzione riesce comunque ad essere politicamente rilevante.

L'attivista grazie ai suoi rapporti amichevoli con Hamas e la comunità internazionale, è riuscito ad ottenere molti seguaci e viene considerato una delle persone con più credenziali per divenire il prossimo Leader palestinese.

Il 7 maggio le autorità hanno diffuso alla stampa internazionale un video che mostra Barghouti mangiare di nascosto prima un biscotto e successivamente uno snack.

I leader palestinesi hanno sostenuto che il video è stato in realtà manipolato dalle autorità israeliane, e che è stato diffuso con lo scopo di fermare lo sciopero della fame e di screditare Barghouti.

Ma nonostante le pressioni di Israele, Barghouti non ha nessuna intenzione di fermare la protesta, né è disposto a scendere a compromessi, e in occasione del 15 maggio, anniversario del Yawm an-Nakba (letteralmente 'il giorno della catastrofe’, indetto da Arafat per ricordare l'esodo di migliaia di civili palestinesi causato dalla fondazione dello stato di Israele) ha lanciato un appello alla disobbedienza civile.

Tramite il suo avvocato Barghouti ha dichiarato che con Israele non vi può essere alcun tipo negoziato di pace finché 'Israele non cesserà la costruzione di colonie, non si impegnerà a terminare l’occupazione, non riconoscerà il diritto al ritorno per i profughi, non libererà tutti i prigionieri non accetterà il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione e alla creazione di uno Stato indipendente nei confini del 1967'.

Questioni che salteranno sicuramente fuori in vista dell'incontro tra Abu Mazen e Donald Trump previsto per il 22/23 Maggio, in occasione della visita a Israele e alla Cisgiorndania del Presidente degli Stati Uniti.