La vendita di armamenti degli Stati Uniti d’America all’Arabia Saudita, per un valore che si aggira tra i 350 e 400 miliardi di dollari, ha provocato sgomento e irritazione. Reazioni dovute al coinvolgimento dell’Arabia Saudita - insieme a Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Giordania, Marocco, Senegal e Sudan - nell’operazione militare “Decisive Storm”, a sostegno del governo yemenita di Abd Rabbuh Mansur Hadi, per la repressione di una guerra civile che dal 19 marzo 2015 sta logorando la Repubblica Unita dello Yemen.
Armi ai sauditi, coinvolta anche l'Italia
Certo, non sono soltanto gli USA a fornire all’Arabia Saudita equipaggiamento militare da reimpiegare nella guerra in Yemen: si rammentano le critiche di Fondazione Finanza Etica (FFE) e Rete Disarmo (RID) del 9 maggio 2017, circa le armi “made in Italy” della RWM Italia Spa, vendute all’Arabia Saudita, per un valore di 32 milioni di euro, in violazione dell’art.6 l.185/90, che vieta “l’esportazione ed il transito di materiali di armamento verso paesi in stato di conflitto armato”. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, dall’inizio della guerra si stimano più di 10 mila morti, ai quali si aggiungono oltre 40 mila feriti e 3 milioni di sfollati, anche se non si esclude che le cifre reali possano essere molto più alte.
Si ricorda che lo Yemen è solo una delle degenerazioni della “primavera araba” del 2011, sfociata con diffusi focolai di guerra nell’area geografica del Maghreb e Medio Oriente. Inoltre, il 15 giugno 2017 gli USA hanno concluso un ulteriore atto di compravendita.
Pentagono-Trump, contrasto sulle armi al Qatar
Ieri, il Pentagono ha reso noto che il segretario della Difesa USA, Jim Mattis, e il suo omologo del Qatar, Khalid al Attiyah, hanno firmato una lettera d’intesa per la cessione di armamenti per un valore di 12 miliardi di dollari.
In una nota, il Pentagono dichiara che questa vendita garantirà un rafforzamento della sicurezza e interoperabilità fra i due Stati. Non si conoscono i dettagli del contratto stipulato tra USA e Qatar, tuttavia l’agenzia Bloomberg sostiene che sarebbe prevista la cessione di 36 caccia F-15 (in ossequio a una delibera del Dipartimento di Stato, avvenuta lo scorso anno, che prevede la cessione di 72 caccia F-15 al Qatar).
Quest’ultima operazione commerciale condotta dagli USA risulterebbe contraddittoria se si considerano le ultime accuse di Donald Trump al Qatar e l’isolamento dell’emirato condotto dalle monarchie del Golfo Persico.
In Qatar la più grande base USA in Medio Oriente
Nonostante le parole del tycoon, per il Pentagono è fondamentale rafforzare militarmente il Qatar, considerando che a sud-ovest di Doha si trova la base militare di Al-Udeid, la più grande degli USA in Medio Oriente, che ospita non solo forze americane ma anche il personale dell’aeronautica britannica e del Qatar. Infatti, è proprio dalla base di Al-Udeid (nota anche come “Abu Nakhlah Airport”) che partono i raid aerei contro lo Stato Islamico in Siria.
Raid aerei necessari? Forse, ma non determinanti.
Il ruolo della Russia
Dopo tutto, in queste ore la Russia dà notizia della (presunta) morte di Al-Baghdadi che, secondo l’intelligence del paese, dovrebbe essere avvenuta ad al-Raqqa, durante un raid aereo russo, circa 20 giorni fa. Le dichiarazioni dell’intelligence, non ancora confermate, suscitano tuttavia un forte imbarazzo agli USA che vedono la Russia, ancora una volta, tagliare per prima il traguardo come nella Berlino del ’45. Se dovessero essere confermate le voci sulla morte del “califfo”, è bene che l’Occidente non si illuda. Infatti, la morte di Osama Bin Laden, nel maggio 2011, non ha certamente segnato la fine di Al-Qaeda che, al contrario, è ancora viva e operativa (per esempio in Yemen, dove si nasconde nella galassia antigovernativa).
Scenari futuri in Medio Oriente
Certamente, la morte di Al-Baghdadi potrebbe scoraggiare i fedelissimi dell’ISIS, ma rischia di aprire uno scenario più controverso. Vale a dire le rivendicazioni di tutte le forze presenti in Siria. Interessante e al tempo stesso preoccupante, sarà capire innanzitutto il destino di Bashar al-Assad, ora che il "nemico comune" (ISIS) sembrerebbe essere sconfitto.