Sicuramente difficile da credere ma è così: l’Italia ancora non ha una legge sul biotestamento.

Ancora più ardua si fa l’impresa che si riferisce alla credibilità della situazione se poi rammentiamo che il nostro Paese si dimostrò ben consapevole della necessità di una legge in tal senso allorquando, nel lontano 2001 fu firmata (ma ancora non è stato depositato il relativo strumento di ratifica), la Convezione sui diritti umani e la biomedicina di Oviedo del 1997 la quale, tra l’altro, stabiliva il diritto di un paziente, che al momento dell’intervento non sarà in grado di esprimere la propria volontà, a che il medico sia ritenuto in dovere di tenere conto dei desideri dal paziente precedentemente espressi.

Ben sedici anni fa.

Chiara la necessità, che ormai è diventata incombenza, di provvedere in tal senso, eppure sembra che in Parlamento si giochi a passarsi la patata bollente, uno scarica barile che è diventato snervante, oltre che avvilente, per chi, coscienza civica a parte, abbia l’urgenza di poter effettuare valide dichiarazioni in merito.

È di fine aprile di quest’anno infatti una proposta di legge che si proponeva di regolare scrupolosamente i vari aspetti della questione toccando le più disparate prospettive degli spinosi interrogativi che la attanagliano.

Tra polemiche e inaspettate coesioni di maggioranza la proposta passa alla Camera.

Oggi invece la legge sul biotestamento doveva essere esaminata a Palazzo Madama dove, però, come esattamente previsto in una nota di lunedì dall’associazione Coscioni, si è arenata a causa di 3000 emendamenti che altro non sono che una chiara mancanza di volontà politica.

Si parla di testamento biologico, di una cautela che un ordinamento giuridico, che uno Stato di diritto dovrebbe garantire a ogni cittadino: la possibilità che egli, nel pieno possesso delle proprie facoltà, disponga liberamente del proprio corpo nei limiti di ciò che è permesso dalla legge.

Legge che deve garantire sempre e comunque il diritto alla vita, comprensibile quindi la posizione politica dell’ordinamento in merito all’eutanasia, ma che di sicuro garantisce, a livello costituzionale, la piena facoltà di un individuo di approvare qualsiasi trattamento terapeutico coinvolga il proprio corpo.

In uno Stato di diritto, che dovrebbe essere possessore e tutore di una coscienza civica, è doloroso constatare che manchi una volontà politica in tal senso. Difficile immaginare che non si dimostri una priorità assoluta una regolazione della materia che si consenta un buco normativo così vasto e così largamente e pericolosamente interpretabile.

Gravissimo dunque parlare di mancanza di volontà politica, assolutamente pertinente parlare di “mortificazione politica”.

Quella mortificazione che sicuramente dovrebbe vincere l’ostruzionismo politico che ha consentito la gigantesca cifra di emendamenti costringendo il Senato ad andare in vacanza e provata dalla De Biasi, presidente della commissione Sanità al Senato, quando ha dovuto spiegare lo slittamento della calendarizzazione dell’esame legislativo a settembre.

Precipuo è il compito di un ordinamento di garantire a un cittadino la libera determinazione delle proprie volontà riguardo i trattamenti sanitari da intraprendere in un eventuale futuro, comprensibile il no all’eutanasia, differente e non condivisibile ma imperdonabile il vuoto legislativo sulle DAT che altro non garantiscono che libertà di autodeterminazione.

Il testamento biologico è una legge che si occupa di far diventare le dichiarazioni del paziente un diritto; volontà che risultano sempre limitate e circoscritte da limiti imposti dalla legge che tutela il diritto alla vita. Un ordinamento responsabile dovrebbe garantire e preparare terreno fertile per i propri consociati per l’esercizio valido di tale diritto.

Non resta che avere fiducia, a questo punto, nella mortificazione politica e non più sulla cosiddetta volontà.