Negli anni in cui la politica è divenuta un porto sicuro per far fruttare il proprio conto corrente, la scelta di Alessandro Di Battista di fare un passo indietro ha sorpreso tutti. Alla vigilia di una campagna elettorale che si preannuncia senza esclusione di colpi, il Movimento5Stelle perde senza dubbio uno dei suoi pochi e veri punti di riferimento. Un trascinatore capace di reggere il confronto con la piazza, la proiezione più veritiera dell’utopia grillina del cittadino protagonista all’interno delle istituzioni. È stato lo stesso Di Battista a dettagliare le motivazioni che lo hanno spinto al passo d’addio: la libertà di riprendersi il quotidiano, il figlioletto appena nato, la passione di tornare a viaggiare per realizzare nuovi reportage.
Che sia la verità o ci sia dell’altro è difficile al momento prevederlo. Non sono mancate le rassicurazioni ai suoi seguaci riguardo all’impegno politico al di fuori dei palazzi del potere. Di Battista comparirà spesso e volentieri al fianco dell’amico e candidato premier, Luigi Di Maio, salvo poi lasciarlo solo al suo destino. In casi eccezionali come questi, a non mancare mai è il coro dei dietrologi. Qual è la verità che si cela dal suo abbandono? Di Battista ha tradito il M5S o è una mera strategia orchestrata a tavolino da Grillo e Casaleggio?
Tempismo discutibile
Le ricostruzioni che hanno avuto per protagonista Di Battista non sono certo mancate. A non aiutarlo è stata di sicuro la tempistica con la quale si è tirato fuori.
La campagna elettorale per le politiche, le Regionali nel Lazio e in Lombardia, rappresentano infatti appuntamenti cruciali per il M5S. Dal punto di vista dei consensi elettorali tale svolta avrà delle ripercussioni. Questo perché il grillismo continua a crescere nel Paese inglobando ideologie e culture politiche non del tutto coerenti tra di loro.
Con Di Battista verrà a mancare l’esponente principe dell’ala più progressista dei Cinquestelle: un punto di riferimento fondamentale per un bacino elettorale che potrebbe ora volgere le proprie attenzioni altrove. Il suo impegno alla causa, nonostante la mancata ricandidatura, servirà dunque a limitare i danni e, perché no, a strumentalizzare l’eccezionalità dell’evento per aumentare ancor di più la distanza da coloro che proprio non ne vogliono sapere di allontanarsi dalle luci della ribalta.
Basti considerare il ritornello subito lanciato e condiviso dai militanti sul web: “Renzi che aveva giurato di lasciare la politica in caso di sconfitta al Referendum è sempre lì, Alessandro che poteva cullare il sogno di governare l’Italia ha detto basta”.
Ipotesi clamorosa
Non si può che definire ambiguo il silenzio di Beppe Grillo su Di Battista. Fonti interne assicurano che la stima per il giovane romano non è in discussione. Il comico genovese è però consapevole di aver perso nell’immediato il suo uomo migliore da spendere nelle strade e nelle periferie. Ciò che non farà mai Di Maio, preimpostato e confezionato su misura per i salotti buoni della politica italiana. Grillo rimane convinto che Di Battista, in ogni caso, non potrà esimersi dal rispondere a un’eventuale chiamata alle armi in caso di emergenze imponderabili.
“Dopo la sua scelta non potrà entrare nel mio governo” si è affrettato a chiarire Di Maio, anche per scollarsi subito di dosso l’ingombrante presenza dell’amico di tante battaglie. L’attenzione dunque volge clamorosamente in Campidoglio: in caso di condanna e dimissioni scontate della sindaca Raggi (indagata per falso nel calderone del caso Marra ndr), libero dal vincolo parlamentare, Di Battista sarebbe il candidato naturale del M5S. L’ipotesi rilanciata da La Stampa ha raccolto in poche ore svariati consensi. Quello di Marcello De Vito, presidente dell’assemblea capitolina ma avversario della prima ora della Raggi, è il più emblematico: “Chiunque sarebbe felice di averlo al proprio fianco”.