Polemiche sulla stesura, polemiche sull’approvazione, polemiche sulla firma. La legge elettorale non nasce sotto i migliori auspici o, quantomeno, non appare rappresentare quelle regole del gioco condivise che dovrebbero essere rispettate da ogni schieramento politico, a prescindere dal proprio colore.
Il Movimento 5 Stelle è, comunque, il primo partito in Italia.
Nonostante i suoi rappresentanti affermino, quotidianamente, che la legge elettorale sia stata pensata per evitare un governo pentastellato, i numeri li smentiscono.
Il dato più recente, ossia quello delle regionali siciliane, mostra come il Movimento, se ci fermiamo ai voti espressi in favore del singolo partito, superi nettamente i due principali oppositori, ossia PD e Forza Italia.
Quindi, ciò che temono i grillini è quello strumento aggregativo, a nome coalizione, che garantirebbe al centrosinistra, o al centrodestra, di imporsi alla prossima tornata elettorale.
Facile a dirsi, più difficile a farsi. Il PD, oltre alla continua emorragia di iscritti (da ultimo anche il presidente del Senato), non sembra trovare alleati di spessore.
Il problema di Forza Italia è, invece, quello della governabilità. Facendo squadra con la Lega e Fratelli d’Italia avrebbe i numeri per superare gli antagonisti, ma la maggioranza dei seggi è ben lontana.
Inevitabilmente si ritornerebbe a parlare di larghe intese, ma se da un lato a Berlusconi è tutt’altro che indigesta una chiacchierata con il leader dem, dall’altra, Salvini e Meloni, potrebbero far saltare il banco.
Poche soluzioni quindi, e di complicata attuazione, ma, dal punto di vista tecnico, cosa prevede la nuova legge elettorale?
Il sistema è misto, per due terzi proporzionale, per il restante, invece, ci si affida ai collegi uninominali. In questi ultimi otterrà il seggio solamente il candidato che riceverà il maggior numero di voti, ma, a differenza di quanto previsto già dalla legge Mattarella, in vigore in Italia tra il 1993 e il 2005, non è previsto il meccanismo dello scorporo.
Questo espediente garantiva di sottrarre, dai voti ottenuti da una lista nel proporzionale, i voti dei candidati, collegati alla stessa lista, eletti, però, nei collegi uninominali a sistema maggioritario.
La finalità doveva essere quella di garantire una rappresentanza alle liste con un numero esiguo di candidati eletti con il maggioritario, coerentemente con gli obiettivi perseguiti dall’applicazione della quota proporzionale.
Fatta la legge, trovato l’inganno. I partiti, infatti, grazie alle cosiddette “liste civetta”, non collegano i propri candidati nei collegi uninominali, a cui sarebbero sottratti voti, a liste di partiti reali, ma li agganciano a liste fittizie, alle quali non fa riferimento alcun sodalizio politico e che non supereranno mai la soglia di sbarramento, prevista al 4% per la quota proporzionale, al di sotto della quale non si attribuiscono seggi.
Con il Rosatellum 2.0, invece, i consensi ottenuti con il sistema dei collegi uninominali andranno ad alterare la quota del proporzionale. Anche quest’ultimo, peraltro, non privo di difetti. Il più rilevante è sicuramente quello delle liste bloccate. I partiti avranno la possibilità di decidere quali saranno i candidati a rappresentare i cittadini in Parlamento e, pertanto, non sarà possibile esprimere una libera preferenza, ma si dovrà scegliere tra un elenco già stabilito.
Completano l’opera la soglia di sbarramento, al 3% per i singoli partiti e al 10% per le coalizioni, e le solite, incostituzionali, quote di genere. Non più del 60% dei candidati di ogni lista, e collegio, dovrà essere rappresentato da uomini o donne, continuando così imperterriti a tirar dentro persone disinteressate alla competizione Politica, ma necessarie per il rispetto della quota.
Uno scenario sicuramente non rassicurante, dove pochi hanno i numeri per vincere e nessuno ha quelli per governare. Tra alleanze da costruire, candidati premier ancora da decidere e un astensionismo che, anche in Sicilia, si attesta sul 50%, i prossimi mesi saranno cruciali per avere un’idea più chiara sul voto e sulle inevitabili conseguenze per la governabilità del paese.