La campagna elettorale è iniziata da poche settimane e tutti i principali schieramenti politici si rimbalzano addosso proposte elettorali, più simili a offerte da televendite che punti programmatici. È la battaglia per l’attenzione, bellezza. Già, perché più l’offerta è eclatante, più è credibile, allora maggiore sarà l’attenzione che si otterrà dal pubblico. Ecco quindi che a cinquanta giorni dal voto sembrano esser finiti i soldi (o presunti tali) da far risparmiare agli onesti cittadini. Il centro-destra del redivivo Berlusconi, con il tandem Salvini-Meloni, promette “flat tax” al 15% e abolizione della riforma Fornero, che da sola si stima costerebbe oltre 300 miliardi.
E il centro-sinistra (o quello che ne rimane) non resta a guardare. Di fronte a temi di maggiore urgenza, ad esempio la disoccupazione giovanile ancora troppo alta, Renzi&co. propongono l’abolizione del canone Rai, senza pensare, all’apparenza, che al di là del costo da sostenere tale misura implicherebbe un serio ripensamento del servizio pubblico e un’alternativa fonte di finanziamento dell’azienda che le permetta di essere indipendente e solida.
Dal canto suo, invece, il M5s rimane coerente con la proposta del reddito di cittadinanza, promossa per buona parte dell’intera legislatura. Salvo incartarsi sul nodo delle “coperture”, prima ricavando i soldi dalle pensioni oltre i 5.000 euro e poi, per coprire i costi troppo ingenti, limando quelle da 2.000, con il rischio di affossare il ceto medio.
E la Sinistra? Anche la Sinistra di Liberi e Uguali, la nuova formazione di Pietro Grasso e Laura Boldrini, fa i conti con sgravi fiscali e promesse di tagli alle tasse. Grasso ha annunciato l’abolizione delle tasse universitarie per garantire un’istruzione a tutti coloro che non possono per motivi economici. Fermo restando che la situazione delle tasse universitarie cambia da regione e regione, restano i dubbi sui costi di questo provvedimento (1,6 miliardi) e di come possa andare ad incidere sulla qualità dell’istruzione, considerando anche che già sono stati introdotte dal governo Gentiloni misure a favore degli studenti con redditi più bassi.
Dopo due settimane di campagna elettorale, nessun partito o leader ha espresso le linee coerenti di un programma, ma si procede così, per sound bites, pillole informative, annunci spot. Utili a fare titoli su giornali e televisioni e più facili da ricordare per gli elettori, sollevati anche dal compito di doversi informare più dettagliatamente su programmi e proposte realizzabili.
L’importante è risultare credibili in ciò che si afferma, il taglio più convincente, quello più desiderato e conveniente, sarà anche quello che garantirà maggiore seguito e consenso in un elettorato sempre più fluido e a fedeltà leggera. Poco importa se quelle promesse saranno attuabili o se rischiano di procurare effetti collaterali più complessi, se chi ci promette un certo risultato appare plausibile ai nostri occhi allora ci fideremo.
Di solito, il voto in cambio di una prestazione si definisce “voto di scambio”. Una pratica sempre additata e reputata meschina, ma che in fondo sembra essere l’unico motore in mano ai partiti per mantenere una parvenza di consenso quando la fede in loro e nelle qualità dei loro leader comincia a venire meno o a sollevare dubbi. Un appoggio di cui tutti hanno bisogno e di cui, in questi tempi di disillusione e disaffezione, è meglio non fare a meno.