Il 16 marzo 1978, mentre Giulio Andreotti stava per presentare in Parlamento il suo nuovo Governo, un nucleo armato delle Brigate Rosse, fermava, in via Mario Fani a Roma, l'auto sulla quale viaggiava Aldo Moro. Dopo aver ucciso i 5 uomini della scorta, i brigatisti, sequestrarono il presidente della D.C.

I 10 miliardi per il riscatto

Più di 50 giorni dopo, il 6 maggio, nella residenza pontificia di Castelgandolfo, Papa Paolo VI si confronta sul sequestro di Moro con monsignor Cesare Curioni, il responsabile dei cappellani carcerari, che per arrivare alla sua liberazione, aveva attivato diversi contatti.

Al colloquio partecipava anche il segretario di don Curioni, monsignor Fabio Fabbri.

All'improvviso, il Pontefice entrò nel suo studio e raggiunse una una consolle coperta da un panno azzurro, di ciniglia e sollevandone un lembo, mostrò una montagna di soldi: sono dollari, suddivisi in mazzette, e chiusi con le fascette di una banca ebraica. Sono quasi 10 miliardi di lire e sono a disposizione per pagare il riscatto di Moro. Solo tre giorni dopo, però, il 9 maggio, nel cuore di Roma, in via Caetani, viene rinvenuto il cadavere di Aldo Moro.

Da dove venivano quei soldi?

Quanto è successo a Castelgandolfo quel giorno di maggio è stato riportato non solo negli atti giudiziari, ma anche negli atti parlamentari.

Inoltre, tutto, è stato ribadito di fronte alla commissione Moro due anni fa, da mons. Fabbri. Ma ancora oggi, alcune domande sono rimaste senza risposta: da dove venivano tutti quei soldi? E come vennero utilizzati, visto che non servirono per pagare il riscatto? Nessuno lo sa: Monsignor Curiani, infatti, è morto nel 1996 e non ha mai svelato il mistero.

Mons. Fabbri dice di non sapere chi avesse portato i soldi a Castelgandolfo, da Papa Paolo VI, e anche il Vaticano, recentemente, ha ribadito, di non sapere nulla. Monsignor Fabbri, però, è convinto che i soldi sicuramente non provenivano dallo Ior, la banca del Vaticano. E, in proposito, ha avanzato allusioni e interrogativi inquietanti.

Si chiede, infatti, quale stato estero aveva interesse a farsi avanti (e, dunque, chi aveva interesse a "controllare" dall'estero il Santo Padre).

Quello che si sa è che quel denaro è legato, in maniera diretta, a due foto di Aldo Moro ostaggio delle Brigate Rosse e al ruolo di don Curioni che, per assecondare il volere del Papa, si era adoperato per liberare il presidente della Democrazia Cristiana. Oltre che con i brigatisti in carcere, infatti, don Curioni, si era avvicinato ad una figura misteriosa che incontrava a Napoli, in metropolitana, e in alcune città del nord Italia.

Sempre secondo la testimonianza di monsignor Fabbri, Papa Paolo VI, durante una telefonata intercorsa nel cuore della notte, lesse a monsignor Cesare Curioni, la lettera, datata 21 aprile 1978, indirizzata "agli uomini delle Brigate Rosse".

Con la celebre missiva, corretta in qualche parte dal responsabile dei cappellani in carcere, il Pontefice invitava i brigatisti a rilasciare Aldo Moro "senza condizioni".

Don Curioni, ricevette le due foto del presidente D.C. prigioniero attraverso i suoi canali. Una delle due immagini mostrava Moro con la prima pagina de "La Repubblica" e, dunque, sicuramente era ancora in vita. Iniziò così la trattativa e Paolo VI, disposto a pagare il riscatto si fece portare i soldi. Quando venne obiettato che i brigatisti non erano in cerca di denaro, ma volevano un riconoscimento politico, il Papa, replicò che avere i soldi dal Vaticano sarebbe stato, comunque. un riconoscimento sufficientemente importante per i terroristi.