Caracas: l'Assemblea nazionale controllata dall'opposizione di Juan Guaidó ha approvato un piano di aiuti in ambito alimentare e sanitario, per porre rimedio all'emergenza umanitaria. L'Assemblea nazionale costituente ha poi designato una commissione che si impegnerà a svolgere un referendum consultivo sullo svolgimento anticipato delle elezioni legislative, previste per il 2020. Maduro si oppone su entrambi i fronti: "No a elezioni anticipate, nessuna influenza americana nel Paese". Il piano di aiuti infatti includerebbe l'intervento statunitense.

Cronistoria della situazione venezuelana

5 marzo 2013, Caracas: muore Hugo Chavez. Dittatore socialista secondo alcuni, populista autoritario secondo molti, fu storicamente il presidente venezuelano che fece la storia del suo Paese.

14 aprile 2013: viene eletto presidente Nicolás Maduro, delfino di Chavez, economicamente, socialmente e politicamente in linea con l’ex dittatore.

Maggio 2015: l’Arabia Saudita decide di diminuire il prezzo del petrolio (primaria fonte di guadagno per il Venezuela), tagliando di fatto le gambe ai competitors e aggiudicandosi la leadership sul mercato dell’oro nero. Il Venezuela di Maduro collassa. Le decisioni del presidente spezzano l’economia dello Stato. I costi dei beni di prima necessità aumentano, l’inflazione schizza alle stelle, piccoli e grandi commercianti chiudono bottega.

I medicinali sono introvabili, la criminalità dilaga nelle città. Maduro cerca di aumentare l’inflazione immettendo liquidità sul mercato, ma l’effetto ottenuto non è quello desiderato. La crescita del PIL diventa inesistente così come quella della produzione e dell’occupazione.

2016: ulteriore crollo del petrolio, inflazione arriva al 700%, la moneta è ormai carta straccia e il presidente persiste con tagli alla sanità, all’educazione e perfino all’elettricità.

29 marzo 2017: la Corte Suprema neutralizza i poteri decisionali dell’Assemblea legislativa. Maduro ha la libertà di governare senza parlamento. Parte della popolazione insorge. Ha inizio la rivolta.

Elezioni maggio 2018: Maduro è ancora alla guida del paese con il 67,7% di preferenze, scaturito dal 46% della popolazione recatasi alle urne (si registra un calo dell’80% dell’affluenza rispetto al 2013).

E’ nel contesto di quelle elezioni che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani denuncia la mancata trasparenza delle modalità di votazione e molti Paesi, tra cui USA e Canada, decidono di non riconoscere le elezioni come valide. Ma Maduro non demorde e si insedia nuovamente come presidente.

Il 23 gennaio Juan Guaidò, capo dell’opposizione, si auto proclama presidente ad interim del Paese prestando giuramento davanti alla folla in applicazione dell’art. 233 della Costituzione venezuelana (che conferisce al presidente dell’Assemblea nazionale di nominarsi presidente in caso l’ordine democratico del Paese fosse messo a rischio). L’obiettivo è convincere Maduro a presentare le dimissioni in maniera pacifica e porsi alla guida del Venezuela fino a quando una nuova consultazione elettorale non sarà indetta.

Le tensioni oggi non sembrano placarsi. Lo scontro Maduro-Trump è già in corso e, dopo le ultime decisioni dell'Assemblea nazionale, non sembra destinato a finire.

Da che parte stanno gli altri Stati

Il caso Venezuela spezza così il mondo in due. Dal Messico alla Cina, dalla Russia alla Turchia, fino alla Siria e l’Iran, c’è chi grida “Maduro ti stiamo accanto”. Mentre Stati Uniti, Canada, Americana Latina e Unione Europea hanno ufficialmente riconosciuto la posizione del leader dell’opposizione, con una criticata ma per niente sorprendente astensione italiana sull’argomento.