Lo scorso mercoledì la Camera dei Rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti ha approvato, con 248 voti favorevoli e 177 contrari, la mozione promossa dal Partito Democratico per uscire dal coinvolgimento nella guerra in Yemen al fianco della coalizione guidata dall’Arabia Saudita. L’approvazione alla Camera è stata facilitata dal nuovo peso assunto dal Partito Democratico che dopo le elezioni di midterm di novembre conta la maggioranza dei rappresentanti.
La proposta approvata, già passata al Senato lo scorso dicembre con 56 voti favorevoli e 41 contrari, tornerà in Senato, a maggioranza repubblicana, per la votazione finale.
Una seconda approvazione al Senato porterebbe la mozione verso la firma del Presidente Trump che potrebbe porre, per la prima volta dalla sua elezione, il veto ad un provvedimento approvato dal Congresso.
La Casa Bianca respinge, infatti, la necessità di interrompere il proprio sostegno alla coalizione sostenendo che le truppe americane non sono mai state coinvolte attivamente nelle azioni militari. Per Trump, l’appoggio Usa alla monarchia saudita, che guida la coalizione di paesi sunniti intervenuti nel conflitto in Yemen, sarebbe limitato alla collaborazione da parte di intelligence e CIA oltre al rifornimento di carburante aereo.
La possibile convergenza tra Repubblicani e Democratici
La proposta dei democratici votata alla Camera ha avuto l’appoggio di 18 rappresentanti repubblicani appartenenti all’ala moderata del partito, segno di una visione sempre più diffusamente critica nei confronti degli effetti dei bombardamenti iniziati nel 2015.
Il democratico Ro Khanna, uno dei promotori della proposta, sostiene l’urgenza di interrompere i bombardamenti aerei da parte della coalizione ed avviare un tavolo di negoziati tra le fazioni in lotta.
Toni decisamente più duri quelli della parlamentare democratica Barbara Lee che ritiene “una vergogna” il coinvolgimento Usa in quella che ritiene “la più grande crisi umanitaria del mondo”.
Una possibile convergenza in Senato tra repubblicani e democratici su un voto di sostegno alla proposta potrebbe verificarsi anche se per ragioni distinte. Se l’interesse del Partito Democratico è quello di contrastare la linea generale tracciata da Trump in Politica estera, quello dei repubblicani è di rafforzare il ruolo di controllo da parte del potere legislativo sulle decisioni di intervento militare da parte del Presidente.
La coalizione messa alla prova da possibili defezioni
Al fianco del popolo sunnita dello Yemen, l’Arabia Saudita interviene nel 2015 raggruppando una coalizione di Paesi ed inaugura una campagna di bombardamenti sui territori settentrionali sotto il controllo dei ribelli Huthi. La coalizione, sostenuta dagli Stati Uniti, vede la partecipazione di Marocco, Egitto, Sudan, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrain e Qatar. I ribelli godono, di contro, del sostegno dell’Iran, il più grande stato di ala sciita.
A quattro anni dall’inizio dei bombardamenti, la coalizione si confronta con una nuova linea assunta da due dei principali attori coinvolti. Gli Stati Uniti non sono gli unici a mettere in discussione, con l’iter congressuale, la propria partecipazione al fianco dell’Arabia Saudita nel conflitto yemenita.
Dopo il ritiro dell’ambasciatore a Riyadh, seguito alla messa in onda su un’emittente televisiva saudita di un documentario sul Sahara Occidentale ritenuto provocatorio, anche la monarchia di Casablanca riconsidera il suo coinvolgimento in Yemen. Il Marocco ha di fatto interrotto il suo coinvolgimento nelle azioni militari in Yemen e la sua partecipazione ai meeting ufficiali degli alleati anche se, al momento, non ha formalizzato l’uscita ufficiale dalla coalizione.