4 dicembre. La data è da cerchiare in rosso e rappresenta il primo giorno in cui l'attuale Dpcm non sarà più in vigore. Nel frattempo, ne sarà scritto uno nuovo e se dovessero essere mantenuti i segnali positivi della curva si potrebbe assistere ad un prudente allentamento delle misure restrittive.

La strategia del governo è serrare le fila per le prossime tre settimane e offrire respiro a cavallo del ponte del'Immacolata. Si tratta dell'apertura offerta dall'esecutivo alle regioni, a fronte del respingimento della richiesta di rivedere i 21 parametri da cui dipendono la catalogazioni delle regioni in zona rossa, arancione o gialla.

Venerdì, su richiesta dei governatori, ci sarà un nuovo appuntamento, in cui il ministro Speranza illustrerà l'importanza di stringere i denti adesso.

Il tutto mentre nelle regioni si iniziano a palesare situazioni eterogenee. Ci sono, infatti, all'interno di regioni rosse province che hanno scenari di contagio più contenuti e che, qualora si scegliesse di selezionare in maniera più chirurgica le misure, potrebbero cambiare colore.

Attenzione, però, perché nei parametri del governo l'Rt è un indice importante, ma non decisivo nell'economia dei 21 stabiliti per catalogare le aree.

Zone rosse: le province con Rt da cambio colore verso l'arancione

Il governo intende pazientare ancora due o tre settimane per valutare gli effetti del Dpcm in vigore.

Non si prenderà, perciò, in alcun modo spunto dalle richieste dei governatori che auspicavano un nuovo modo di analizzare la situazione, confidando in qualche sgravio sulle restrizioni che pesano sul tessuto economico. L'indirizzo è, perciò, che sia il governo, una volta preso atto del miglioramento o meno della situazione, a rendere meno stringenti le norme in atto.

La sensazione è che, comunque, sia destinata a restare anche per il mese di dicembre la divisione del territorio in base a zone di rischio.

Sono, ormai, 16 su 21 le regioni (o province autonome) che sono rosse o arancioni in Italia. Da uno studio della Fondazione Kessler inizia ad emergere uno scenario eterogeneo in ciascuna regione.

Anche in aree molto problematiche come le zone rosse ci sono situazioni dove l'Rt è al di sotto dell'1,5 e dunque candidato a far diventare delle province 'zone arancioni'.

Si parte, ad esempio, dalla Lombardia. Da zona rossa, in base all'Rt, restano Brescia (1,64), Bergamo (1,72), Mantova (1,6), Monza e Brianza (1,55), Lecco (1,61) Como (1,93), Varese (1,65). Proprio i casi delle prime due città citate che, secondo alcuni sono quelle meno in difficoltà nel contrasto all'epidemia dopo essere state travolte nelle prima ondata, raccontano forse meglio di ogni altro il motivo per il quale l'Rt non è un parametro che, da solo, può dare indirizzi decisivi. Sotto l'1,5 restano Sondrio (1,23), Pavia (1,22) Lodi (1,41), Cremona (1,45).

Milano, invece, è a 1,36.

La Valle D'Aosta resta al di sopra del limite con 1,74. Idem la Provincia Autonoma di Bolzano (1,59).

In Piemonte Biella a 1,6 è sopra, borderline invece Verbano-Cusio-Ossola(1,49) . Poi tutti sotto l'1,5 con Cuneo (1,4), Asti (1,32), Alessandria (1,31), Vercelli (1,45), Novara(1,25) e Torino (1,29).Situazione meno rassicurante in Toscana. Da arancione ci sono Siena (1.43) e Pisa (1,28). Tutte al di sopra le altre: Lucca (1,77), Pistoia (2,18), Prato (2,16), Massa Carrara (1,7), Livorno (2,21) Grosseto (1,89), Arezzo (2,98), Firenze (1,71).

L'Abruzzo, di recente dichiarata zona rossa, ha L'Aquila con Rt 1,08, Pescara (1,34). Restano rosse, invece, Teramo (1,55) e Chieti (1,64).

Occorre, però, andare con ordine.

Nessuna provincia candidata a cambiare colore in base all'Rt in Campania dove le cose restano preoccupanti. I numeri parlano chiaro: 2,86 l'Rt di Salerno, 1,68 quello di Napoli, 2,8 ad Avellino, 2,07 a Benevento e 1,52 a Caserta.

In Calabria restano rosse Catanzaro (1,65), Crotone (1,67) e Vibo (1,57). Da arancione, invece, Reggio Calabria (1,37) e Cosenza (1,33).

Coronavirus: come leggere i numeri nel modo giusto

Occorre comunque precisare che a far oscillare questi parametri potrebbe essere una mancata capacità di tracciare tutti i casi nel momento in cui sono diventati troppi o non c'è una sufficiente capacità territoriale nel rispondere alla richiesta.

E proprio per questo, al di là della pressione sul governo degli amministratori, non è detto che anche per ciascuna provincia non si vadano ad operare analisi sui numeri a 360 grandi.

Andando, ad esempio, a prendere quanti test si fanno, quale è la percentuale di positivi sul totale e soprattutto la pressione sui sistemi sanitari.

Al momento ai presidenti di Regione e ai sindaci è data solo facoltà di restringere le misure dei Dpcm nei territori, non di allentarli.