La presenza di Gianfranco Fini sul palco di Atreju, l’8 dicembre 2025, ha rappresentato un momento politico di forte valore simbolico. Dopo diciassette anni lontano dalla comunità che aveva contribuito a guidare, l’ex leader di Alleanza Nazionale ha definito la sua partecipazione alla kermesse di Fratelli d’Italia come un vero “ritorno a casa”. Non si tratta di un rientro operativo in politica, come ha precisato, ma di un gesto di riconciliazione con una storia personale e collettiva che sembrava ormai chiusa.

Il mea culpa su Alleanza Nazionale e il ruolo di Fratelli d’Italia

Fini ha affrontato con rara franchezza il tema più delicato della sua parabola politica: la decisione del 2009 di sciogliere Alleanza Nazionale per confluire nel Popolo della Libertà. Una scelta che oggi considera un errore, capace di frantumare una comunità politica radicata e identitaria. Nel suo intervento ha riconosciuto il merito di Fratelli d’Italia, e in particolare di Giorgia Meloni, di aver ricostruito quel patrimonio ideale e umano che la fusione nel Pdl aveva disperso, anche se negli ultimi sondaggi il partito di Meloni risulta in calo. Una “riaggregazione”, come l’ha definita, frutto di una leadership che ha saputo recuperare senso di appartenenza e progettualità.

Il giudizio su Giorgia Meloni e la destra di governo

Di Meloni, Gianfranco Fini ha parlato con equilibrio: ha dichiarato di averla votata e di volerla rivotare, pur sottolineando che non sempre ne condivide ogni posizione. Una distinzione che ha presentato come segno naturale di libertà intellettuale e maturità politica. Ha comunque definito l’attuale premier protagonista di un “capolavoro politico”, capace di consolidare una destra di governo stabile, riconoscibile e radicata nel corpo elettorale.

La cornice dell’evento ha aggiunto significato alla serata. Sul palco era presente anche Francesco Rutelli, storico avversario di Fini nella sfida per il Campidoglio del 1993, una competizione che segnò un passaggio cruciale per la destra post-MSI.

La loro presenza congiunta ha evidenziato come, a distanza di decenni, sia possibile rileggere divergenze e confronti con un distacco diverso, lontano dalle tensioni di allora. Al tempo stesso, l’accoglienza calorosa del pubblico ha segnato, di fatto, la fine della lunga “damnatio memoriae” che aveva accompagnato Fini dopo la rottura con Silvio Berlusconi nel 2010.

Gianfranco Fini, nel ripercorrere gli anni del Pdl e nel riconoscere gli errori che lo portarono all’emarginazione politica, ha suscitato una forte reazione emotiva nella platea. Molti militanti, formatisi politicamente nell’esperienza di AN, hanno interpretato le sue parole come un gesto di pacificazione e la chiusura di un capitolo rimasto irrisolto per troppo tempo.

Al termine dell’incontro, gli viene posta una domanda che sintetizza il senso del suo ritorno.

Presidente Fini, cosa rappresenta per lei il ritorno ad Atreju dopo tanti anni? «È un ritorno simbolico, non politico. Ho voluto riconoscere un errore del passato e rendere merito a chi ha ricostruito una comunità che conoscevo bene. Non condivido tutto, ma apprezzo la direzione intrapresa dalla destra di governo».

Un gesto simbolico che guarda al futuro della destra

Il ritorno di Gianfranco Fini non indica un nuovo protagonismo politico, ma una ricomposizione della memoria della destra. In una fase di consolidamento del movimento, la sua presenza ad Atreju ha creato un ponte tra generazioni e offerto una lettura più chiara del percorso compiuto. Un gesto che richiama il passato e, al tempo stesso, illumina la direzione che la destra di governo intende seguire.