Un gruppo di ricercatori della San Diego State University, in California, ha appena pubblicato su Biological Psychiatry uno studio di neuroimaging cerebrale che mostra come nell'autismo il cervelletto sia connesso in maniera abnorme alle aree motorie della corteccia cerebrale, mentre le connessioni con le aree prefrontali sono più deboli. I ricercatori sono giunti a queste conclusioni misurando in maniera sistematica il grado di connettività funzionale tra ciascuna area corticale e il cervelletto sottoponendo 56 bambini e adolescenti, di cui 23 affetti da autismo, a un esame di risonanza magnetica funzionale e registrando l'attività cerebrale spontanea.
Le motivazioni dello studio
"Non conosciamo le cause dell'autismo" afferma in apertura Ralph-Axel Müller, psicologo e coordinatore dello studio "da qualche decennio, però, sappiamo che alcune regioni del cervelletto, struttura cerebrale fondamentale per eseguire in maniera rapida e corretta compiti motori, ma coinvolta anche nelle funzioni cognitive superiori, hanno spesso dimensioni ridotte nei pazienti autistici". Tuttavia, la ricerca si è sempre occupata in maniera sporadica e discontinua della relazione tra cervelletto e autismo, non riuscendo a fornire un quadro chiaro.
L'importanza dei risultati ottenuti
"Le connessioni tra il cervelletto e la corteccia motoria si sviluppano nei primi anni di vita" sottolinea Müller, quando il cervello dei bambini affetti da autismo risulta leggermente più voluminoso rispetto a quanto accade nei bambini con uno sviluppo normale".
Al contrario, le connessioni tra il cervelletto e le aree deputate alle funzioni cognitive superiori, come le aree prefrontali, si sviluppano più tardi. "I nostri risultati" prosegue Müller "suggeriscono che nell'autismo le connessioni con le aree motorie sono preponderanti nel cervelletto a spese delle connessioni con le aree prefrontali, e questo squilibrio potrebbe instaurarsi durante lo sviluppo.
In altre parole, quando le funzioni cognitive superiori cominciano a emergere, le connessioni tra cervelletto e corteccia cerebrale in un bimbo affetto da autismo si sono già specializzate in un'altra direzione, quella delle aree corticali motorie".
Questi risultati, inoltre, potrebbero aiutare i ricercatori e i medici a comprendere come anomalie dello sviluppo dei circuiti cerebrali possano condurre ai vari tipi di disturbi dello spettro autistico. "Infine" conclude Müller "noi speriamo che il nostro studio possa fornire strumenti nuovi per la diagnosi di autismo, ma anche per la comprensione dei fattori genetici da cui esso origina".