In presenza di un cancro alla prostata, la prima terapia farmacologica che viene somministrata è quella antiandrogena. In pratica si somministrano sostanze (farmaci) che vanno a competere con l’azione fisiologica degli ormoni maschili, in modo da non stimolare la prostata e quindi non peggiorare la malattia. Uno studio prospettico condotto da Kevin T. Nead, ricercatore al Center for Biomedical Informatics Research della Stanford University School of Medicine, in California, ha dimostrato che l’uso di farmaci antiandrogeni è associato ad un aumento del rischio di demenza.

Un effetto collaterale imprevisto

Sono stati valutati 9.272 uomini, di età media 66,9 anni, di cui quasi il 60% di razza bianca, che avevano avuto una diagnosi di cancro alla prostata. Il 20 % di questi soggetti, dopo la diagnosi, era stato sottoposto ad un trattamento antiandrogeno. L’aumento di demenza, valutato dopo 5 anni di terapia, è stato del 4,4%. In pratica, nel gruppo di controllo era del 3,5% mentre nel gruppo che era stato trattato con antiandrogeni era del 7,9%. Ma era stato sufficiente un trattamento di almeno 12 mesi con antiandrogeni, per osservare un aumento del rischio di demenza.

E’ innegabile che un trattamento con antiandrogeni ha migliorato la sopravvivenza dei pazienti con cancro alla prostata ma è altrettanto vero, spiega Nead, autore dello studio insieme ad altri colleghi che hanno analizzato i dati delle cartelle cliniche presenti in un centro medico accademico nel periodo dal 1994 al 2013 (20 anni), che questo trattamento è stato associato ad una disfunzione della sfera neurocognitiva come demenza senile, demenza vascolare e morbo di Alzheimer.

Una possibile spiegazione di questo fenomeno è il ruolo che gli androgeni – ormoni tipicamente maschili – hanno nello sviluppo e crescita dei neuroni.

Ormoni androgeni

Il testosterone è un tipico ormone androgeno, prodotto dai testicoli maschili. In presenza di un tumore alla prostata, questo ormone stimola la replicazione delle cellule tumorali legandosi a specifici recettori che si trovano sulla superficie delle cellule stesse.

Un possibile approccio terapeutico è la deprivazione androgenica, ovvero la somministrazione di analoghi del testosterone che andando a competere con i siti di interazione del testosterone, ne vanificano la sua funzione (la cosiddetta castrazione chimica).

Non sempre le cellule tumorali rispondono a questo trattamento per cui, in questi rari casi, si può parlare di “resistenza alla castrazione”.

Gli antiandrogeni possono precedere un intervento chirurgico anche se è più frequente che vengano dati dopo l’intervento o la radioterapia. I più comuni sono il ciproterone acetato, bicalutamide e la flutamide.

La deprivazione androgenica viene usata dal 1940 per contrastare la crescita del tumore alla prostata. Solo ora, negli Stati Uniti,circa mezzo milione di uomini è in trattamento antiandrogeno per il cancro alla prostata.

Già nel 2015 gli stessi ricercatori avevano pubblicato uno studio sull’associazione tra deprivazione androgenica e Alzheimer. Adesso hanno pubblicato questi dati che vanno nella stessa direzione. E’ del tutto evidente che questi risultati sono abbastanza allarmanti e che richiedono ulteriori studi prospettici al fine di chiarire a quali rischi va incontro un paziente costretto a sottoporsi ad una terapia di questo tipo e come, eventualmente, prevenire certi effetti collaterali negli anni avvenire.