Il consumatore deve essere sempre informato correttamente, sia se un prodotto può essere nocivo alla salute sia se è venduto come farmaco senza una comprovata efficacia. In questo caso parliamo dei prodotti omeopatici, una classe di composti che ha sempre diviso opinione pubblica e addetti ai lavori. Ora, negli Stati Uniti, la Federal Trade Commission (FTC) ha deciso di fare chiarezza: su tutte le confezioni di prodotti omeopatici deve essere indicato chiaramente che, in base alle attuali conoscenze, non vi è evidenza scientifica che i farmaci omeopatici funzionino.

Ai consumatori la scelta finale, alle autorità l’obbligo di far chiarezza

Nessuno può impedire ad un paziente di ricorrere a rimedi omeopatici per curare la sua malattia. Del resto ci sono sia medici che farmacisti che vantano una specializzazione in omeopatia. Tuttavia la comunità scientifica internazionale da anni sostiene che non ci sono evidenze, ma neanche i presupposti razionali, per sostenere che un rimedio omeopatico possa curare una malattia. Quello osservato può essere un semplice effetto placebo.

Il motivo è semplice: un prodotto omeopatico contiene una quantità di principio attivo che spesso è pari a zero. E’ quindi del tutto evidente che, su basi scientifiche, un prodotto di questo tipo non può incontrare il favore della scienza.

Dibattiti sull’argomento ce ne sono stati tanti, anche in Italia.

In prima linea il farmacologo Prof. Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri. Ora arriva la posizione netta della FTC statunitense che impone alle aziende omeopatiche di scrivere sulle etichette, a fianco delle indicazioni cliniche del farmaco omeopatico, che la sua efficacia non è stata dimostrata con la stessa accuratezza richiesta ai farmaci tradizionali.

La FTC ha elaborato una disposizione dal titolo: “Enforcement Policy Statement on Marketing Claims for Over-the-Counter (OTC) Homeopathic Drugs”. Questo non vuol dire che i medici non potranno prescriverli così come i farmacisti venderli. Questo documento mira solo a scoraggiarne l’uso, cercando di contrastare i vari messaggi di marketing che invece mirano ad incentivarne il consumo.

Risale al 1700 ma ora la scienza ha le sue regole

L’omeopatia ha avuto origine nel 1700, quando un medico, di origine tedesca, Christian Friedrich Samuel Hahnemann (1755-1843), si rese conto che le conoscenze di quel tempo non consentivano di curare malattie come infezioni, malaria e altro. Per questo smise del tutto di fare il medico e si dedicò ad altro. In questo percorso ebbe una intuizione: somministrando in quantità infinitesimale una sostanza che procurava una malattia, questa andava a stimolare l’organismo rendendolo efficiente a combattere la malattia che la stessa sostanza poteva provocare a dosaggi più elevati. Era il “principio dei simili” ovvero similia similibus curantur.

La medicina omeopatica si basa su diluizioni decimali (DH) e diluizioni centesimali (CH).

Se su una confezione leggete 30CH vuol dire che il “principio attivo” è stato diluito in 100 parti di acqua. Di questa soluzione ne è stato prelevato solo una parte (1 CH, ovvero un centesimale) che, a sua volta viene diluita fino a cento. Da questa nuova soluzione, se ne preleva 1 parte per essere diluita fino a cento. Questo ripetuto 30 volte (30 CH). Questa è detta “diluizione omeopatica”.

In base alle nostre conoscenze, con una serie di diluizioni di questo tipo, la quantità di sostanza iniziale presente, nella soluzione finale è inferiore al numero di Avogadro, ovvero una particella ogni 6 seguito da 23 zeri! Praticamente acqua fresca. Garattini ritiene che i prodotti omeopatici non dovrebbero avere l’attenzione di alcun organo regolatorio nazionale (es.

l’AIFA), o internazionale (es. l’agenzia europea EMA). Ma neanche di tutti gli operatori sanitari.

Eppure il mercato degli omeopatici è in crescita: in Italia vale 400 milioni di euro ed interessa l’8% della popolazione. Supportata da 700 medici omeopati, su una comunità di 250 mila.