L’immunoterapia continua a rappresentare la novità del nostro tempo nella lotta contro i tumori. Nella sperimentazione clinica può succedere che uno studio venga interrotto a causa di effetti secondari imprevisti ma è raro il contrario. Ovvero che uno studio venga interrotto perché la nuova cura sperimentale è troppo efficiente. E’ quanto è successo in uno studio clinico (CheckMate-214) per il trattamento del cancro al rene, con due noti anticorpi, già studiati per altri tumori, nivolumab (Opdivo) e ipilimumab (Yervoy).

La combinazione vincente dei due anticorpi

Al recente meeting ESMO (European Society for Medical Oncology) di Madrid (8-12 Settembre) sono stati presentati i risultati di uno studio clinico (CheckMate-214) dove, in una forma avanzata di carcinoma renale (RCC), sono stati investigati due anticorpi dati in combinazione, nivolumab e ipilimumab. Questo carcinoma viene normalmente trattato con sunitinib, un inibitore tirosin chinasi sviluppato da Pfizer e approvato circa 10 anni fa proprio per questa indicazione.

In Italia lo scorso anno sono state diagnosticate 11.400 nuovi casi di carcinoma al rene. Di questi, solo il 30% viene risolto con l’intervento chirurgico mentre nei restanti casi o si hanno metastasi dopo l’intervento o i pazienti arrivano alla diagnosi già in uno stadio avanzato.

In questi casi quindi, la prognosi non sempre è favorevole anzi la sopravvivenza media è di 2 anni.

Nello studio CheckMate-214, sono stati trattati proprio i pazienti non operabili, con una forma avanzata di carcinoma renale e mai trattati con altri farmaci. In questi paziente la combinazione dei due anticorpi ha portato ad una riduzione del rischio di morte del 37%.

Nell’immunooncologia, il fatto che un tumore non progredisce per 5 anni, non vuol dire necessariamente che il paziente sia definitivamente guarito. Può semplicemente essere stabilizzato, ovvero che il sistema immunitario, stimolato dagli anticorpi della terapia, raggiunga un equilibrio tale da tenere a bada la malattia, senza curarla definitivamente.

Lo studio clinico CheckMate-214

I due anticorpi umani di Bristol-Myers Squibb, usati in combinazione in questo studio, sono ipilimumab (Yervoy), approvato nel 2011 per il trattamento in seconda linea del melanoma e attualmente investigato anche in altri tumori, e nivolumab (Opdivo) approvato per il trattamento, in seconda linea, del carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) squamoso localmente avanzato o metastatico.

Nivolumab è un immunomodulatore, che agisce con meccanismo anti-PD-1. Un recettore presente sui linfociti T e che favorisce lo sviluppo del tumore eludendo il controllo del sistema immunitario. Nel 2014 nivolumab è stato il primo inibitore del checkpoint immunitario PD-1 al mondo, ad aver ottenuto l'approvazione dalle Autorità Regolatorie.

Oggi il farmaco è approvato in ben 60 Paesi. Abbiamo già descritto in precedenza quanto questo target rappresenti una speranza per il trattamento di diverse forme tumorali.

Nello studio clinico sul carcinoma al rene, ipilimumab è stato somministrato alla dose di 1 mg/kg ogni tre settimane, per un totale di quattro cicli, e nivolumab alla dose di 3 mg/kg per due settimane. Verso un gruppo di controllo trattato con sunitinib, 50 mg/giorno per un mese, che è la terapia attualmente impiegata. Lo studio è stato effettuato come terapia di prima linea – ovvero in pazienti che, per lo stesso tumore, non sono stati trattati in precedenza con altri farmaci. La combinazione dei due anticorpi ha dato una riduzione di mortalità del 37%, raddoppiando la risposta positiva rispetto a quanto ottenuto nel gruppo trattato con sunitinib (41,6 verso 26,5%).

Un dato davvero straordinario che assume una valenza ancora più ampia se si considera il numero di pazienti che potrebbero beneficiarne rispetto alle attuali terapie. Come abbiamo detto, in Italia vengono diagnosticati ogni anno 11.400 nuovi casi di carcinoma renale, di questi il 25% ha meno di 50 anni. Questa percentuale è in netto aumento rispetto a solo 10 anni prima (10%) e le possibili cause sono fumo di sigaretta e obesità.