Che la pentosidina fosse un biomarker del rischio fratture lo si sapeva già da qualche anno. Già nel 2012, in Giappone, una indagine clinica su 616 donne (50-79 anni) aveva individuato nella pentosidina un fattore indipendente associato al rischio di fratture vertebrali nelle donne in post menopausa. Ora un nuovo studio, sempre condotto in Giappone, su una popolazione maschile di over-65 anni, ha confermato come la pentosidina sia un efficace biomarker della fragilità ossea. I risultati sono stati pubblicati da Junko Tamaki e collaboratori, su Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism.
I livelli sierici di pentosidina
Interessa una popolazione molto ampia, uomini dopo i 65 anni e donne dopo la menopausa, la determinazione della densità ossea in quanto importante fattore per decidere se iniziare una terapia mirata alla prevenzione di eventuali fratture. A tale scopo, l’esame più comunemente usato è la densitometria ossea, meglio nota come MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata). Negli ultimi anni i ricercatori clinici stanno cercando dei biomarker ematici correlati alla fragilità ossea.
La pentosidina è una piccola molecola appartenente alla classe degli “Advanced Glycation Endproducts” (AGE), ovvero sostanze che si liberano nel sangue in seguito al deterioramento del collagene.
Lo studio giapponese, appena pubblicato, è andato a valutare i livelli ematici di pentosidina e di un recettore endogeno - endogenous secretory Receptor for AGE (esRAGE) - una proteina che interagisce con i prodotti di scarto della glicazione, il processo che lega stabilmente alcuni zuccheri semplici alle proteine.
Tamaki, dell’Osaka Medical College, insieme al suo team, nello studio FORMEN, ha coinvolto 1.285 uomini giapponesi over 65enni.
Obiettivo era valutare se i livelli serici di esRAGE e di pentosidina potessero essere associati al rischio frattura da fragilità ossea. Il monitoraggio (follow-up) è durato più di 4 anni. In questo periodo l’incidenza delle fratture segnalate è stata del 4,9/1.000, ogni anno. Gli uomini che avevano livelli più elevati di pentosidina, e un rapporto più basso di esRAGE/pentosidina, erano quelli che avevano fatto registrare un numero superiore di fratture da fragilità ossea.
Al contrario, un aumento del rapporto esRAGE/pentosidina è stato associato ad una minore probabilità di fratture (-34% al femore, - 35% all’anca, -36% alla colonna vertebrale).
Valido anche nelle donne in post-menopausa
Il fatto che la pentosidina sia da considerare un valido biomarker della fragilità ossea (osteoporosi) non è stato scoperto ora. Già nel 2012, sempre uno studio giapponese, condotto su 616 donne in età post-menopausa (50-79 anni), con un follow-up di 10 anni, aveva documentato 148 fratture in 94 donne. In questo caso l’incidenza era stata di 1,68/1.000 persone l’anno. Ma già allora si era stabilito che il rischio di fratture vertebrali aumentava in modo lineare con i livelli di pentosidina ematici.
Questa associazione era indipendente dall’età, dall’indice di massa corporea (IMC), dalla densità minerale ossea (MOC) a livello spinale, e dal tipo di frattura.
Ancora un altro studio, pubblicato lo scorso anno su BMC Musculoskeletal Disorders, da un gruppo di ricercatori dell’Università di Praga, primo autore J. Vaculík. In questo caso l’analisi sui livelli ematici di pentosidina era stata fatta su 70 pazienti con fratture del collo femorale e 41 pazienti senza frattura, ma con artrosi avanzata dell’anca. Anche in questo caso i livelli elevati di pentosidina erano stati riscontrati solo nei pazienti arrivati in ospedale con frattura mentre negli altri, sebbene affetti da una grave patologia che richiedeva la sostituzione totale dell'articolazione dell'anca, i livelli di questo biomarker erano nella norma.
Molti altri studi sono stati pubblicati recentemente sul ruolo della pentosidina, coinvolta in varie patologie. Ma il suo ruolo, come biomarker della fragilità ossea, sembra ormai un dato definitivo.