Nella sostituzione di uno o più denti mancanti, il ricorso all’implantologia dentale ha raggiunto un’ampia diffusione. Se le condizioni del paziente sono ottimali e l’innesto dell’impianto viene eseguito correttamente, normalmente il tasso di successo di questa tecnica è prossima al 100%. Ma quello che è ancora dibattuto sono i tempi di carico dell’impianto. Inizialmente si preferiva differire di qualche mese questa seconda fase dell’intervento, ora sempre più evidenze cliniche sono a favore di un carico precoce. L’ultima indagine è di un team di clinici italiani, pubblicata a ottobre su Implant Dentistry, primo autore Carlo Prati.

L’evoluzione dell’implantologia

L’idea di sostituire uno o più denti con un elemento bionico risale alla notte dei tempi, come reperti archeologici antichissimi stanno a testimoniare. Ma è solo nell’ultimo secolo che l’implantologia si è diffusa capillarmente in odontoiatria. Il primo brevetto di impianto dentale fu di Adams, e risale al 1938, seguito da un altro brevetto depositato dal medico svedese Per-Ingvar Branemark. Nel 1961 il medico italiano Stefano Tramonte progettò il primo impianto a carico immediato.

In questi ultimi 60 anni le tecniche implantologiche hanno fatto enormi passi avanti passando dall’idea di inserire un impianto per ogni dente alla più recente tecnica del “all on four”, ovvero riabilitare una intera arcata dentaria con solo 4 impianti osteointegrati, ovviamente quando vanno sostituiti tutti i denti di una arcata e le condizioni del paziente lo consentano.

Gli impianti moderni sono delle speciali vite, realizzate in titanio – materiale molto resistente – che vengono inserite (avvitate) nell’osso. Una volta allocato, la formazione di nuovo osso avvolgerà l’impianto, assicurando un ancoraggio solido e permanente ad una capsula di ceramica che andrà a prendere il posto del dente mancante.

Le tecniche moderne possono essere riassunte in tre approcci: a carico immediato (entro 48 ore dall’inserimento dall’impianto), a carico precoce (tra 1 settimana – 2 mesi) e a carico ritardato (dopo 3-4 mesi dall’impianto). Ma quale di queste opzioni è da preferire? Finora la tecnica più usata era quella a carico ritardato, per dare il tempo all’osso di rigenerarsi e stabilizzare l’impianto.

Un recente studio, condotto da clinici italiani, sembra a favore dell’approccio a carico precoce.

Lo studio italiano

Ad 85 pazienti, a cui erano stati inseriti complessivamente 131 impianti in titanio (29 a carico immediato, 29 a carico precoce e 73 a carico ritardato), è stato fatto un controllo dopo 2 anni dall’intervento. L’obiettivo era controllare se ci fossero eventuali differenze nella perdita di osso marginale tra gli impianti a carico immediato e gli impianti a carico ritardato. La quantificazione è stata fatta mediante radiografie perapicali.

Il primo dato è che gli impianti erano attecchiti nel 100% dei casi. Il secondo dato è che dopo 24 mesi, in tutti i casi, indipendentemente dalla posizione dell’impianto, mascellare o mandibolare, la perdita di osso è stata minima con gli impianti precoci (0,70), e massima con quelli ritardati (1,02).

Gli impianti a carico immediato hanno evidenziato una perdita d’osso marginale (0,78) comunque inferiore rispetto a quello con impianti ritardati.

La conclusione di questa studio è che, per preservare più efficacemente il livello di osso marginale peri-impianto, la tecnica migliore è quella dell’impianto a carico precoce mentre quella tradizionale sembra la meno efficace. In una posizione intermedia si colloca la tecnica a carico immediato.