Si chiama chip, ma non è un microprocessore, anzi. Si tratta di un nuovo fattore di rischio con cui pochissimi medici e ancora meno pazienti hanno avuto finora a che fare, ma che, a detta di coloro che lo hanno scoperto e identificato per la prima volta, inciderebbe in maniera estremamente rilevante sulle nostre probabilità di subire un attacco cardiaco o, anche, un'ictus. Per di più, sarebbe alla base di molti casi di infarto in persone che, almeno apparentemente, appaiono sanissime. Vediamo, quindi, di cosa si tratta e come la sua scoperta può migliorare la nostra battaglia contro infarto e ictus oltre alla nostra salute.

Le origini della scoperta

Ma come si è giunti a questa sensazionale scoperta? In effetti, i ricercatori sono partiti dalla constatazione che molti soggetti che hanno subito un attacco di cuore o un ictus non presentavano nessun fattore di rischio convenzionale. Non avevano, cioè, pressione alta o alti livelli di colesterolo e non erano, nemmeno, dei fumatori. Fino ad oggi questi pazienti, per usare un'immagine astronomica, erano considerati la materia oscura della cardiologia. Ma, ora, potrebbe essere fatta luce su questi aspetti.

E questo sarebbe proprio dipeso da CHIP, acronimo inglese per Clonal Hematopoiesis of indeterminate potential, cioè, in linguaggio tecnico - scientifico, emopoiesi clonale di potenziale indeterminato.

In pratica una mutazione di cellule staminali introdotte, in eccesso, nel midollo osseo. Questo accumulo, definito 'bizzarro' dagli scopritori, come riporta il New York Times, causerebbe un rischio più elevato di oltre il 40 - 50% di subire un infarto o un ictus nell'arco di un decennio.

La pericolosità di CHIP

Secondo quanto è stato scoperto dagli scienziati americani CHIP opererebbe indipendentemente dalla presenza di altri fattori di rischio convenzionali come il, cosiddetto, colesterolo cattivo LDL.

Ma sarebbe altrettanto potente e molto più diffuso. inoltre, la probabilità di attacco indotto da questo specifico fattore aumenterebbe con l'aumentare dell'età. Sarebbe di circa il 20% intorno ai 60 anni. Ma salirebbe fino al 50% intorno agli 80 anni.

Secondo Kenneth Walsh, Direttore del Centro di biologia ematovascolare dell'Università della Virginia, sembra che al modo esistano, da questo punto di vista, due soli tipi di persone.

Quelle che esibiscono emopoiesi clonale e quelle che la stanno per sviluppare. Secondo il Dottor Peter Libby della Harvard Medical School si tratta della scoperta cardiologica più importante dal tempo delle statine. Anche perché si tratta di mutazioni acquisite forse a causa dell'intervento di fattori esterni, su cui i soggetti non hanno alcun potere. Alcuni pazienti a cui è stata diagnosticata CHIP l'hanno, efficacemente, definita come una bomba ad orologeria dentro di loro.

Il meccanismo scoperto

Un altro aspetto notevole è che CHIP è stato rintracciato da diversi team di ricerca in maniera indipendente e, sopratutto, in progetti dove non si stavano studiando le malattie cardiache ma tutt'altro.

In un caso si stava studiando l'influenza dei geni nella leucemia. In un altro caso,addirittura, si stava studiando la schizofrenia. Tutti presentavano delle mutazioni delle cellule del sangue ma senza aver sviluppato la malattia. I ricercatori hanno ipotizzato l'accumulo di cellule nel midollo osseo in conseguenza del lavoro dei globuli bianchi e delle altre cellule staminali che provvedono, ogni giorno alla sostituzione di 10 miliardi di cellule morte. A volte alcune staminali producono una mutazione che si ripete anche nei globuli bianchi. Molto spesso non sono dannose, ma in alcuni casi sì. Di solito queste mutazioni aiutano a specializzare la cellula staminale. Ma in altri casi creano danni. E così nel sangue sono presenti globuli bianchi con mutazioni. Da ciò l'accumulo nel midollo, e quindi il fattore di rischio crescente. Ora, però, è stato identificato e potrà essere combattuto.