Quando pensiamo alle epidemie abbiano come riferimento i virus letali che possono infettare il nostro organismo replicandosi nelle cellule umane con grande rapidità. In realtà vi sono altrre patologie, in particolare quelle a carattere neurodegenerativo, che possono considerarsi come una sorta di epidemia, considerando la loro diffusione. Ad esempio attualmente nel mondo vi sono 47 milioni di persone malate di alzheimer, di cui solo 600mila in Italia. Stando alle stime più recenti da parte degli esperti, il numero delle persone malate di Alzheimer è destinato triplicarsi entro il 2050.

Alzheimer: nuova ricerca

Tuttavia qualcosa si muove sul fronte della ricerca. In particolare Annalena Venneri dello Sheffiled Institute for Translational Neuriscience in Gran Bretagna assieme a Matteo De Marco della University of Sheffield hanno fatto una scoperta che potrebbe rivoluzionare l'approccio a questa patologia neurodegenerativa. Andiamo a considerare più nello specifico cosa hanno scoperto i ricercatori.

Lo studio

I ricercatori hano preso in esame 29 pazienti affetti dall'Alzheimer, 30 pazienti affetti da declino cognitivo lieve e 51 persone sane che sono state sottoposte a test cognitivi e risonanze magnetiche. In particolare i ricercatori hanno scoperto che se un'area specifica del cervello, la tegmentale-ventrale (Vta), non produce la quantità necessaria di dopamina per il funzionamento dell'ippocampo, quest'ultimo non riesce a svolgere le sue funzioni e di conseguenza la formazione dei ricordi viene pregiudicata.

Quello dei ricercatori italiani è il primo studio che dimostra questo collegamento negli esseri umani. In particolare quanto più questa area tegmentale ventrale è piccola tanto più risultano minori le dimensioni dell'ippocampo e di conseguenza le capacità di ricordare e di apprendere subiscono una drastica diminuzione. Pertanto la scoperta di questo legame tra la diminuzione della quantità di dopamina prodotta in quest'area del cervello e la capacità di formare nuovi ricordi potrebbe rivelarsi molto utile per arrivare a una diagnosi precoce di questa malattia.

I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Nature Communication.

Ed in effetti questa scoperta conferma i risultati di un'altra ricerca condotta un anno fa presso l'Ircss Santa Lucia e l'Università Campus-Biomedico di Roma. Quest'altra ricerca ha posto in evidenza che un altro effetto che deriva dalla diminuzione del rilascio della dopamina da parte della Vta riguarda la perdita di motivazione della persona, un aspetto che caratterizza la malattia di Alzheimer fin dalle sue prime fasi.

Insomma le due ricerche potrebbero portare a una diagnosi più precoce di questa patologia neurodegenerativa e verificare quindi se le alterazioni riscontrate possano essere trattate con i farmaci attualmente già disponibili per il trattamento della malattia.