Oggi sul mercato disponiamo di diversi materiali che vengono utilizzati per svariati motivi e scopi. In ambito alimentare si è sempre discussa l'utilità e i pericoli derivanti dalla plastica invece che del vetro o di altri tipi di contenitori o involucri in cui riporre i nostri alimenti. Secondo uno studio da poco condotto, però, sembra che anche i contenitori composti da metallo possano interferire con i nostri cibi e quindi creare problemi.
Più comunemente, quando si parla di contenitori o involucri lo si fa ormai attraverso una parola di uso comune e derivante dall'inglese: packaging, ossia l'impacchettamento o l'imballaggio.
Adesso si sta studiando come il packaging utilizzato per gli alimenti possa influire in maniera negativa nel nostro intestino ed in che modo questo possa influenzare l'assorbimento dei cibi. Infatti, secondo una ricerca iniziale della Binghamton University, eseguita al momento solo su colture cellulari e non su persone vere, sembrerebbe affermare quanto descritto precedentemente sul packaging.
Lo studio
Stando ai primi risultati, sembra che le particelle di ossido di zinco (riportate in chimica con la formula ZnO), sfruttate per la loro proprietà antimicrobica ed inserite per questo all'interno di alcuni contenitori in scatola, generino dei problemi a livello intestinale, andando a modificare l'assorbimento dei microvilli presenti sulla mucosa intestinale e deputati all'atto vero e proprio dell'assorbimento delle varie sostanze nutritive.
Questa migrazione di particelle di ossido di zinco dal contenitore agli alimenti ivi inseriti è stata osservabile grazie all'ausilio di una particolare tecnologia: la spettrometria di massa. Quest'ultima consiste nel rilevare le quantità e le sostanze, sotto forma di ioni, presenti in una determinata matrice, anche se presenti solamente in tracce.
Quindi, mediante l'uso di questa tecnologia, i ricercatori hanno osservato le quantità di ZnO trasferitesi dalla scatola all'alimento. Così facendo hanno scoperto che gli alimenti, come ad esempio tonno e mais, mostravano una quantità di ossido di zinco un centinaio di volte superiore a quella consentita giornalmente. Da qui si è deciso di analizzare e valutare gli effetti sulle cellule dell'intestino.
In realtà questa cosa già si sapeva, ma in passato si era andato ad investigare su dosi molto più alte che causavano la morte cellulare. In questo caso, invece, si è andato a studiare gli effetti che interagiscono a livello della funzionalità cellulare. Si è scoperto che le particelle di ossido di zinco depositandosi sulle pareti del tratto gastrointestinale causano la morte o il rimodellamento dei microvilli intestinali. Di conseguenza, questo produce una riduzione della membrana intestinale e della sua superficie. E' stato visto, anche, come alte dosi di queste particelle possano generare una risposta infiammatoria.
Va nuovamente precisato, però, che lo studio è stato condotto su cellule in vitro e pertanto è ancora difficile arrivare ad una risposta certa.
Oltretutto si dovranno ancora vedere quali saranno i possibili effetti in caso di una somministrazione tale nel lungo periodo. Ad oggi le analisi vengono effettuate sugli animali. Il prossimo obiettivo sarà quello di capire se queste molecole, ed anche altre, vanno o meno ad interagire con il microbiota intestinale e come.