Gli affetti dalla malattia dell'Alzheimer hanno una memoria visiva e linguistica il più delle volte danneggiata. La musica potrebbe rivelarsi un efficace strumento comunicativo per instaurare un dialogo con i pazienti e aiutarli a ritrovare il contatto con la realtà.

Il lavoro di ricerca

University of Utah Health sta mettendo a punto un programma di sperimentazione della musicoterapia; i ricercatori intendono alleviare gli stati d'ansia e agitazione, attraverso la musica, nei pazienti affetti da demenza. Nello specifico, gli accademici si sono concentrati sullo studio dei meccanismi del cosiddetto Salience Network.

Quest'ultima è una rete cerebrale che ha il compito di individuare e, successivamente, di elaborare gli stimoli d'impatto significativo per l'essere umano. Questa area è stata considerata oggetto di studio perché è una delle poche aree cerebrali che non viene intaccata nel processo di degenerazione dell'Alzheimer. Già in precedenza, uno studio sugli effetti della musicoterapia era stato effettuato e, a tal proposito, lo scienziato Jeff Anderson ha affermato: "I pazienti affetti da forme di demenza si ritrovano a fare i conti con un mondo sconosciuto che causa disorientamento e ansia. Noi studiosi riteniamo che la musica abbia accesso a una rete celebrale chiamata Salience Network, non intaccata dalla malattia.

Non ci spingiamo ad affermare che la musica possa essere una cura per la malattia di Alzheimer, ma di certo potrebbe rendere i sintomi più gestibili e migliorare la qualità della vita dei pazienti".

Gli effetti della musicoterapia sui pazienti

Nella sperimentazione, gli accademici hanno suggerito ai partecipanti di scegliere una playlist di brani significativi per questi ultimi, insegnando loro anche l'utilizzo dei lettori multimediali.

Durante l'ascolto dei pazienti, gli scienziati ne hanno analizzato le immagini cerebrali, fornite grazie a una risonanza magnetica funzionale. Ciò che è emerso dallo studio è che la musica ha attivato la comunicazione fra intere aree cerebrali, in particolare fra l'area visiva, il sistema nervoso, la zona prefrontale e quella cerebellare.

L'interazione e la connettività reciproca di queste aree risultavano rafforzate rispetto a quanto accadeva nelle condizioni di controllo. Afferma Norman Forster, autore e direttore dello studio sull'Alzheimer presso l'Utah University: "Questa è una prova oggettiva che dimostra come la musica con una valenza personale possa essere una strada alternativa per comunicare con pazienti affetti da malattia di Alzheimer. Per saperne di più, programmi musicali individualizzati possono attivare il cervello specialmente in quei pazienti che perdono il contatto con la realtà". Tuttavia, sebbene l'esito della ricerca possa risultare sorprendente, vi sono dei punti deboli. In primo luogo, il progetto dell'esperimento includeva una sola sessione di imaging per ogni paziente; da ciò consegue che é impossibile giungere a delle certezze in merito all'influenza della musica sull'attivazione del cervello a lungo termine, anche perché il numero di pazienti che sono stati sottoposti all'esperimento era abbastanza esiguo: 17 individui. Dei traguardi sono stati raggiunti, ma certamente le ricerche dovranno necessariamente proseguire.