Oggigiorno malattie come l'Alzheimer e la demenza senile sono oggetto di studi approfonditi che ne svelano ogni giorno nuovi aspetti e prospettano nuove terapie per combatterle. Un settore della scienza sta studiando il ruolo del sistema immunitario nelle patologie cerebrali, forte del fatto che riducendo l'infiammazione si riducono gli ammassi di beta amiloide e proteine tau, presenze caratteristiche dell'Alzheimer.

Già dal 2010 il neuroscienziato Michael Heneka ne era convinto mentre i suoi colleghi erano scettici circa il ruolo del sistema immunitario nella demenza.

Heneka aveva condotto una serie di esperimenti che si basavano sull'eliminazione di un gene chiave dell'infiammazione nei topi, solitamente collegato al morbo di Alzheimer, ed aveva notato che i topi trattati risultavano privi della malattia, superando tutti i test mnemonici e mostrando solo segni irrisori delle placche proteiche indici della malattia. Ma i risultati sembrarono troppo positivi per essere reali e lo stesso ricercatore non ne comprese appieno l'importanza.

Il gene Nirp3

Lo scienziato si aspettava che rimuovendo il gene detto Nlrp3 avrebbe protetto il loro cervello dei topi ma non contava affatto sulla prevenzione della demenza. Durante gli ultimi anni ha rielaborato e rianalizzato i suoi esperimenti nel Centro malattie neurodegenerative di Bonn, concludendo che esiste veramente un legame tra demenza e sistema immunitario cerebrale e ne ha caratterizzato le cellule coinvolte ed interpretato i segnali, anche se non è facile capire la natura del legame che varia con l'avanzare della malattia.

Il mercato farmaceutico però gli ha dato fiducia, intravvedendo l'apertura di un nuovo mercato. Sono infatti 50 milioni i malati di demenza ed il numero è destinato a salire nei prossimi anni e le industrie farmaceutiche hanno destinato ingenti capitali alla ricerca incentrata sull'infiammazione.

Il funzionamento non è chiaro

C'è però un ostacolo: gli studiosi non sanno ancora se la risposta immunitaria debba essere stimolata o inibita nelle diverse fasi della malattia. Inoltre non è semplice avere un campione da testare per la difficoltà di trovare pazienti in fase precoce di malattia. Il primo ad accorgersi di placche anormali nel cervello fu lo stesso Alois Alzheimer, lo psichiatra che per primo descrisse i sintomi della demenza più di un secolo fa.

Egli individuò, nel cervello di una paziente con perdita cognitiva, le placche, che in seguito si scoprì erano formate da proteina beta amiloide, e le fibre della proteina tau. Oggi è noto che entrambe siano la 'firma' della malattia. Ma Alzheimer individuò anche la microglia, che è una cellula immunitaria, situata nei pressi dei neuroni, in una specie di associazione.

Più tardi, negli anni 90, emersero i collegamenti tra l'infiammazione e l'Alzheimer, quando ci si accorse che individui che assumevano farmaci antinfiammatori sviluppavano raramente il morbo di Alzheimer. Inoltre i pazienti malati mostravano la microglia addensata intorno alle placche e alle zone degenerate mentre le citochine infiammatorie si concentravano nel liquido cerebrospinale.

Heneka fu uno dei primi a sospettare che fosse la stessa infiammazione a provocare la patologia.

Nuove opportunità

La scoperta apre enormi opportunità per i neuroscienziati che si avvalgono di tutti gli strumenti disponibili per combattere la tremenda malattia. Se la microglia, che dovrebbe proteggere il cervello può causare danni basterebbe studiare a fondo le sue trasformazioni in relazione agli accumuli di proteina beta amiloide. Sembra che l'accumulo della proteina promuova l'infiammazione, che a sua volta innesca il circuito di accumulo, e sarebbe necessario sviluppare un rimedio che inibisca la formazione dell'inflammasoma per tenere a bada la reazione a catena. Gli immunologi stanno cercando di comprendere meglio la microglia, al fine di progettare nuove immunoterapie contro le malattie neurodegenerative.