La malattia di Huntington presto potrebbe avere un rivale credibile. Si tratta di un farmaco che potrebbe restituire speranza a quanti soffrono di una malattia piuttosto subdola che si caratterizza per essere latente in molti e per il manifestarsi tra la quarta e la quinta decade di vita, pur non mancando le eccezioni in età più giovane o molto più avanzata.
Malattia di Huntington: cosa è successo di recente?
Si tratta di una patologia neuro-degenerativa indotta da una proteina, detta huntingtina, la cui produzione viene stimolata da un difetto genetico sul cromosoma quattro e la cui azione determina una morte lenta di alcune cellule del sistema nervoso.
L'effetto risulta particolarmente deleterio per molte parti dell'organismo, generando disfunzioni motorie e psichiche. Le attuali terapie non consentono una totale azione curante, ma si limitano a lenire quelle che sono le conseguenze della patologia. Le ultime novità provenienti dal mondo della ricerca rivelano, tuttavia, che presto potrebbe accendersi una luce in fondo al tunnel delle migliaia di persone che ne soffrono in Italia e di molte altre che sono esposte al rischio.
Infatti, secondo quanto rilevato dal dottor Edward Wild, starebbe avanzando con risultati positivi uno studio che si pone l'ambizioso obiettivo di silenziare il gene responsabile della proteina incriminata. Wild lavora per l'Huntington's Disease Centre all'University College of Londra ed è uno dei due coordinatori mondiali dell'attuale lavoro di ricerca.
L'ambizione è quella di riuscire a compiere la missione attraverso un farmaco che è già in fase di sperimentazione a livello internazionale in Canada, Regno Unito e Germania. I primi risultati rivelano che disattivare completamente il gene non è ancora un obiettivo alla portata, ma limitarne gli effetti e quindi anche l'avanzare della malattia rappresentano una missione possibile.
Si tratta di un'applicazione farmacologica che avviene attraverso un'iniezione alla base della colonna vertebrale, quasi come fosse un'epidurale. Il sistema viene utilizzato per fare in modo che il liquido iniettato giunga direttamente al sistema nervoso. Gli effetti sperati dovrebbero riguardare tutti gli aspetti della malattia, ossia le disfunzioni motorie e mentali.
Malattia di Huntington: altri aspetti
La malattia deve il nome al medico che nel diciannovesimo secolo riuscì ad isolarne la specificità. Lo studio su di essa si è intensificato negli anni '90 e tra gli aspetti più beceri da sottolineare c'è il fatto che si tratti di una patologia autosomica dominante. Tradotto in parole povere: un bambino che viene generato da un portatore del gene incriminato ha il 50% di possibilità di ereditarla. Si tratta di una malattia latente che fino alla manifestazione dei sintomi non dà traccia di se stessa. Per scoprire l'eventuale predisposizione ogni soggetto potrebbe sottoporsi ad un test genetico predittivo, ma molti preferiscono non saperlo per evitare di sottoporsi allo stress di convivere con qualcosa che prima o poi si manifesterà.
Le disfunzioni, come detto, sono sia motorie che psichiche. Chi inizia a patire i sintomi della malattia di Huntington nota di non riuscire a controllare i movimenti involontari che i propri arti, il busto e il viso si trovano a produrre. Non a caso, viene anche chiamata corea di Huntington (dal greco, danza). Non meno gravi sono le conseguenze mentali, poiché un soggetto affetto spesso si caratterizza per una certa predisposizione ad essere lunatico, insofferente alla socialità e con una tempra facilmente irritabile. A ciò molto spesso si associa la depressione quando si viene a conoscenza del problema di cui si è affetti. I numeri fanno sì che la si possa definire una patologia rara, ma in Europa si stimano diversi milioni di casi.
In Italia, invece, circa sei-settemila persone l'hanno già avuta diagnosticata, mentre trenta-quarantamila sono potenzialmente a rischio. L'augurio è che il nuovo farmaco possa rappresentare davvero una nuova speranza.