La depressione è più diffusa nelle donne, mentre il disturbo da deficit dell’attenzione è frequente nei maschi. Il “disturbo depressivo maggiore”, come viene chiamata la depressione dal DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) può colpire, in qualunque momento dell’esistenza, fino al 12,7% della popolazione maschile e il 21,3% di quella femminile. L’ADHD (attention deficit/hyperactvity disorder) colpisce tra il 3 e il 5% della popolazione e in maggior parte i soggetti sono maschi.
Gli esperimenti sulla differenza chimica tra maschio e femmina
I ricercatori della Washington University School of Medicine hanno studiato una sede particolare del cervello, il locus coeruleus, su esemplari di topi. Questa struttura usa come neurotrasmettitore la noradrenalina, molecola che lavora nel sistema simpatico: aumenta il battito cardiaco, la focalizzazione dell’attenzione, le risposte “lotta o fuga”.
Gli scienziati hanno rilevato un gruppo di cento geni dei topi femmina che si ritengono correlati al disturbo depressivo maggiore (l’attività era particolarmente elevata in quelli contraddistinti dalle sigle Slc6a15 e Lin28b). A questo, inoltre, si associa la presenza del recettore PTGER3, che in passato era già stato associato a vari circuiti cerebrali, ma che questa volta è stato descritto con una presenza tripla nelle femmine rispetto ai maschi.
I ricercatori, pensando che fosse correlato a una maggiore sensibilità allo stress, hanno somministrato un farmaco che ne inibisse l’azione: lo stato dall’allarme nei topi veniva significativamente ridotto.
Terapia, la dualità psicoterapia/farmacologia
Queste scoperte aiuteranno a sintetizzare farmaci sempre più specifici e mirati, che differenzino le varie malattie, il genere sessuale e altre variabili che incidono grandemente sulla patologia.
Bisogna sempre tenere presente che i farmaci non sono, per ora, la soluzione ai disturbi mentali. Tutti i trattamenti farmacologici vanno accompagnati al trattamento psicoterapeutico perché i medicinali odierni sono aspecifici e curano soltanto i sintomi, mentre la persona, per esempio depressa, ha bisogno di ristrutturare il suo modo di approcciarsi alla vita per trovare quello più naturale e sano per lei, così che, conclusi i due tipi di trattamento, non abbia ricadute.
I due disturbi trattati nell’articolo sono i più suscettibili a diagnosi blande da parte di medici che pensano di risolvere la sofferenza dei pazienti esclusivamente attraverso i farmaci. Nel Regno Unito ormai le linee guida impongono che gli psicofarmaci contro la depressione vengano somministrati soltanto in casi gravi: molti studi stanno iniziando a dimostrare che la psicoterapia è perfino più efficace dei medicinali. Sul New England Journal of Medicine è stata riportata un’analisi delle banche dati della Food and Drug Administration che ha rilevato l’effect size, ovvero la dimensione della grandezza con cui sono scomparsi i sintomi. Il Prozac, diventato quasi sinonimo di farmaco contro la depresione, ha un effect size di .26 (considerato basso) mentre la psicoterapia si attesta su un effect size di .75 (medio-alto).