Lo studio è stato pubblicato il 2 ottobre sulla rivista The Lancet Public Health Journal. Gli autori del Cancer Council New South Wales (NSW) hanno concluso che, in australia, grazie ad una campagna vaccinale iniziata nel 2007 sia sulle ragazze che sui ragazzi, entro 20 anni il cancro al collo dell'utero diventerà così raro da essere considerato una malattia rara. Ma, già nel 2022, si stima che i casi che verranno diagnosticati saranno meno di sei ogni 100mila donne.

I vaccini si apprezzano solo quando si ha paura

Il caso australiano ricorda l’esperienza che l’umanità ha fatto con il vaiolo, terribile malattia infettiva sconfitta grazie ad una campagna di vaccinazione di massa promossa dalla OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).

Una malattia che solo nel Novecento si stima abbia causato almeno 330 milioni di vittime, agli inizi degli anni ’80 venne dichiarata definitivamente debellata dalla umanità.

Nel 2007 cinque Paesi decisero di introdurre la vaccinazione di massa contro il papilloma virus (HPV), responsabile di una forma di cancro particolarmente aggressivo e molto diffuso, quello al collo dell'utero. L’Australia era uno di questi, conducendo una campagna di screening che coinvolgeva ogni 2 o 5 anni tutte le donne di età comprese da 18 a 69 anni. L’obiettivo era la riduzione dell’incidenza di questo cancro al di sotto dei 2 casi ogni 100mila donne.

Secondo lo studio pubblicato da Michaela T. Hall e dai suoi collaboratori su The Lancet, questo obiettivo potrebbe essere raggiunto entro il 2035, ma già nel 2022 si stima che i casi che verranno diagnosticati tra le donne australiane saranno meno di sei ogni 100mila.

E tutto questo grazie ad una campagna di vaccinazione di massa che, dal 1991, anno in cui venne istituito il NCSP (National Cervical Screening Program), è riuscita già a dimezzare - nelle donne di età superiore a 25 anni - le diagnosi di cancro al collo dell’utero

Il tumore causato da un virus

Per sconfiggere una malattia sono necessarie almeno due condizioni, conoscere la causa e disporre di un arma efficace per la sua distruzione.

Nel caso del cancro al collo dell'utero, la causa è un virus, per la precisione una serie di genotipi del papillomavirus (HPV) umano. E l’arma efficace è un vaccino, proprio come quello che 60 anni fa ha consentito di eradicare dalla faccia della terra il vaiolo. In questo caso, il vaccino somministrato è un quadrivalente, cioè attivo contro i tipi 6, 11, 16 ed 18.

Solo gli ultimi due genotipi sono responsabili di oltre il 70% dei tumori alla cervice uterina.

Di HPV ne esistono più di 100 genotipi. Non tutti sono responsabili di malattie gravi, anzi molte donne durante la loro vita contraggono il virus in modo asintomatico. Solo in alcuni casi, però, il virus può insediarsi in modo persistente e causare un danno alla cervice uterina. Quelli responsabili di questo cancro sono principalmente 12 ceppi e tra questi alcuni sono considerati ad alto rischio. Ed è proprio contro questi ceppi che si sono sviluppati i vaccini.

La lezione australiana

Sesto Paese più esteso al mondo, caratterizzato da ampie zone desertiche e con una popolazione di 24 milioni, quasi tutti residenti lungo le coste, l’Australia ha iniziato il programma di vaccinazione nel 2007, con le ragazze di 12-13 anni.

Dopo due anni ha esteso la campagna alle donne di età compresa tra 14 e 26 anni. Dal 2013 ha iniziato a vaccinare anche i ragazzi di 12-13 anni. E nel 2015 il programma è stato esteso ai maschietti fino a 15 anni.

Nel 2016, il 78,6% delle ragazze australiane e quasi il 73% dei ragazzi oltre i 15 anni avevano completato le tre dosi di vaccino quadrivalente. Con quale risultato? In un decennio il tasso di HPV tra le donne tra 18-24 anni è passato dal 22,7% al 1,1%. Nel 2018 questo vaccino è stato sostituito con la versione “nona-valente”, in grado di assicurare una copertura ancora più estesa, oltre il 90% di tutte le forme tumorali del collo dell’utero.

Volendo riepilogare, chi si vaccina con le due dosi del nuovo vaccino nona-valente avrà un rischio di avere una diagnosi di cancro da paillomavirus inferiore di un ulteriore 10% rispetto a chi è stato già vaccinato con le tre dosi della versione quadrivalente. Mentre chi non si è affatto vaccinato avrà un rischio del 52%. Sono numeri che non andrebbero mai dimenticati quando si parla di vaccini.