Secondo il direttore della FDA, Scott Gottlieb, l’approvazione di Tpoxx (tecovirimat) per il trattamento del vaiolo, avvenuta con procedura “prioritaria”, risponde ad una precisa esigenza statunitense ovvero quella di poter disporre di un “arma farmacologica” per contrastare un eventuale attacco bioterroristico con armi non tradizionali mediante la diffusione di batteri o di virus come, ad esempio, il vaiolo.

Un farmaco o un arma di difesa?

Il progetto della SIGA Technologies, una biotech privata con sede a New York City, iniziò proprio dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001.

Si trattava di sviluppare un farmaco contro il vaiolo, un virus debellato ben 40 anni fa e che attualmente, sul nostro pianeta, per quanto ne sappiamo, è disponibile solo in due laboratori a disposizione della OMS: i CDC (Centers for Disease Control and Prevention) di Atlanta, negli Stati Uniti, e il Centro di Ricerche Statali di Virologia e Biotecnologia di Koltsovo, in Siberia, Russia.

Il farmaco, una pillola da prendere per bocca, è stata testata solo sugli animali, non essendoci ovviamente pazienti disponibili. Nei test sugli animali, infetti con le varianti del virus della scimmia e del coniglio, tecovirimat è risultato efficace nel ridurre la mortalità per la malattia, e priva di effetti collaterali significativi.

E’ stato anche testato sull’uomo, 359 volontari sani, ed è risultato ben tollerato.

L’agenzia regolatoria federale degli Stati Uniti, la FDA, nelle motivazioni che l’hanno portata all’approvazione del nuovo farmaco, cita proprio l’uso come arma di difesa contro un attacco biologico mediante la diffusione del virus vaiolo.

I timori degli scienziati nascono dal fatto che, pur essendo il virus confinato in ambienti noti e altamente controllati, la cui diffusione è praticamente inimmaginabile, è noto il suo genoma e questo potrebbe teoricamente essere replicato.

Per questo le autorità statunitense hanno ipotizzato come possibile una eventuale diffusione a fini terroristici di questo virus, che è tra i più letali finora descritti. Con una mortalità di oltre il 30% dei pazienti infetti. Ma anche i sopravvissuti, in una elevata percentuale di casi, devono convivere poi con delle profonde lesioni su tutto il corpo, compreso il viso, fino alla cecità

Il vaiolo, una malattia del passato

Sembrano dimenticate eppure, nel corso della storia, le infezioni da vaiolo hanno causato epidemie catastrofiche.

Difficile collocare l’inizio della sua diffusione ma solo nel Novecento si stima abbia causato almeno 330 milioni di vittime.

L’agente responsabile è un virus chiamato Variola. Provoca i primi sintomi solo un paio di settimane dopo il contagio, con la formazione di pustole. E’ proprio in questa fase che il nuovo farmaco dovrebbe essere preso per evitare la diffusione dell’infezione e le complicanze che possono arrivare fino al decesso.

Quando iniziano i dibatti sui vantaggi dei vaccini, non c’è esempio migliore di quello contro il vaiolo. Negli anni ’70 la OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) decise di mettere in campo un’azione senza precedenti contro il vaiolo, al fine di arrivare alla sua totale eradicazione.

Iniziò così una campagna di vaccinazione di massa e di isolamento dei focolai epidemici. L’ultimo paziente della storia moderna colpito dal vaiolo fu un somalo, nel 1977. Due anni dopo la OMS dichiarava eradicato il vaiolo dalla Terra. Ancora un paio di anni e, all’inizio degli anni ‘80 cessarono definitivamente le campagne vaccinali contro il vaiolo.

Questo vuol dire che la stragrande maggioranza dei cittadini di questo pianeta è ora altamente vulnerabile ad un potenziale attacco di vaiolo. Ma, nello stesso tempo, non avrebbe alcun senso vaccinare tutti i cittadini contro un virus che non c’è. In questo scenario si colloca l’approvazione da parte della FDA del primo farmaco contro il vaiolo, da prendere solo in caso di infezione in atto.