ZELNORM (tegaserod) è un farmaco indicato per il trattamento dell’IBS-C (sindrome del colon irritabile), sindrome che negli ultimi anni è in continuo aumento e che colpisce circa il 10% della popolazione adulta, in particolare le donne con più di 50 anni. Approvato già nel 2002, cinque anni dopo venne ritirato perché sospettato di potenziali rischi cardiovascolari. Ora, dopo una accurata rivalutazione clinica, FDA ha nuovamente approvato il farmaco per il trattamento dell’IBS-C, ma limitato ad una popolazione femminile di età superiore ai 65 anni.

Intanto, presso la McMaster University, i ricercatori hanno individuato nelle urine un biomarcatore che potrebbe consentire una rapida diagnosi dell’IBS senza ricorrere a tecniche invasive come la colonscopia.

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È di pochi giorni fa l’annuncio che la filiale americana Alfasigma - dove è presente con circa 300 dipendenti impegnati tra la filiale commerciale e lo stabilimento produttivo di Shreveport, Louisiana - ha acquisito da Sloan Pharma un farmaco indicato per la sindrome dell’intestino irritabile e della costipazione (IBS-C). Si tratta del tegaserod, nome commerciale Zelnorm. Farmaco “nuovamente” approvato all’inizio dell’anno dalla FDA dopo essere stato volontariamente ritirato dal mercato nel 2007, sospettato di potenziali rischi cardiovascolari.

Infatti la sua prima approvazione, come farmaco da prescrizione, risale al 2002, sempre per la stessa indicazione.

FDA, in collaborazione con un comitato tecnico, lo GIDAC (Gastrointestinal Drugs Advisory Committee), ha riesaminato il dossier su questo farmaco sotto il profilo della sicurezza. In particolare sono stati rivisti ben 29 studi clinici condotti in confronto con i placebo, e i dati post-marketing.

Da questa analisi non sono emersi elementi di preoccupazione anche se la nuova indicazione è limitata alle donne che hanno raggiunto almeno i 65 anni di età. Che poi è la fascia della popolazione maggiormente interessata dalla IBS-C.

Tegaserod è l’unico agonista selettivo di un recettore serotoninergico, 5-HT4. Attraverso l’attivazione di questo recettore, il farmaco riesce a stimolare alcuni neuroni (sensoriali, motori e secretori) che controllano la muscolatura liscia nel tratto gastrointestinale rimodulando la motilità intestinale, ripristinando la sua regolare funzionalità e riducendo il dolore.

Sindrome dell’intestino irritabile e diagnosi non invasiva

Dal 7 al 21% della popolazione adulta mondiale - negli Stati Uniti tale la percentuale è tra il 5-9% - soffre di IBS (Irritable bowel syndrome), una patologia che frequentemente si cronicizza e che colpisce l'intestino crasso (colon). Segni e sintomi includono crampi, dolori addominali, gonfiore, gas e diarrea o stitichezza, o entrambi. Negli ultimi anni un numero crescente di persone soffre di IBS e la fascia maggiormente interessata è quella adulta ultracinquantenne. Con una prevalenza nelle donne.

L’IBS ha una forte ripercussione sulla qualità e stile di vita, condizionando le attività quotidiane, il sonno e rapporti sociali. Con evidenti effetti anche sul lavoro, dove l’assenteismo dei soggetti con IBS è più frequente.

Pochi giorni fa sulla rivista scientifica Metabolomics, un gruppo di ricercatori canadesi della McMaster University, coordinati da Philip Britz-McKibbin, ha pubblicato un lavoro di metabolomica, la scienza che studia i metaboliti ovvero i prodotti di scarto del nostro organismo. Grazie a tecniche come l’elettroforesi capillare accoppiata alla spettrometria di massa (MS) e di Banche dati come la HMDB (Human Metabolome DataBase), questi ricercatori sono riusciti ad identificare nelle urine dei pazienti almeno dieci metaboliti che potrebbero rappresentare dei “biomarcatore” specifici della malattia IBS.

Tra questi ci sono idrossilisine, dimetilglicina, dimetilguianosamina, serina, glutamina, imidazolo propionato e triptofano glucuronidato.

Alcuni sono comuni amminoacidi ma nei pazienti con IBS presenti in concentrazione più elevate. Unico limite a questa applicazione è l'influenza che altre patologie o patologie pregresse possano avere sulla presenza di questi biomarcatori così come l'assunzione di alcuni farmaci. In ogni caso, questo è un buon inizio, e questi risultati fanno ben sperare in uno sviluppo di tecniche diagnostiche non invasive che potrebbero essere estese a fasce più ampie di popolazione, senza la necessità di ricorrere a tecniche invasive come la colonscopia.