Alcune evidenze sperimentali sostengono il ruolo dell’infiammazione nella patofisiologia della depressione, disordine neurologico di cui è affetto il 4.4% della popolazione nel mondo.

A tal proposito i ricercatori del Centro Ricerche Bioscence dell’Università Metropolitan di Manchester hanno verificato se ci fosse una connessione tra l’assunzione di una dieta ad attività proinfiammatoria e l’insorgenza di sintomi depressivi.

Hanno preso in considerazione 11 studi clinici, per un totale di 101.950 partecipanti di età compresa tra 16 e 72 anni e hanno correlato i il tipo di dieta seguita con la manifestazione di disturbi neurologici.

I risultati hanno stabilito che esiste effettivamente un legame tra dieta proinfiammatoria, composta da alimenti processati, e rischio di depressione.

I futuri consigli medici e sociali dovrebbero, dunque, concentrarsi sulla spinta a condurre, consapevolmente, uno stile di vita corretto, basato sulla preferenza di una dieta antinfiammatoria (ad esempio mediterranea, con basso contenuto di carboidrati).

Il lavoro è stato pubblicato su Clinical Nutrition nell’ottobre 2019.

Meccanismi di azione

È stato dimostrato che una dieta composta da alimenti ad effetto proinfiammatorio attiverebbe il sistema immunitario innato per indurre un’infiammazione di grado lieve in tutti i tessuti.

Questo stato promuoverebbe i disturbi della Salute mentale, oltre che malattie croniche cardiovascolari e diabete.

I fattori dietetici influenzano, quindi, la funzione neuronale e la plasticità sinaptica coinvolte nell’eziologia della depressione.

Di contro, l’assunzione di cibi antiossidanti e antinfiammatori, combinati ad esercizio fisico, incrementa l’espressione di geni con effetti positivi sulla plasticità neuronale.

Studio clinico

Nella metanalisi degli 11 studi clinici è stato osservato che i pazienti che sceglievano alimenti trasformati (come zuccheri raffinati tipo merendine, insaccati, formaggi in eccesso e cereali di farina bianca non integrali) rispetto a cibi antinfiammatori (frutta e verdura), avevano nel sangue concentrazioni di citochine infiammatorie superiori alla norma.

Inoltre, gli studenti con stress lieve o moderato, prediligevano la scelta di cibi infiammatori piuttosto che sani, con conseguente peggioramento dello stato infiammatorio già instaurato.

I soggetti che mangiavano cereali integrali e uova, broccoli e cavolfiori, quest’ultimi ricchi del nutriente colina, mostravano una bassa concentrazione ematica di marcatori periferici di infiammazione (proteina C reattiva o PCR, IL6 e TNFalfa).

La conclusione era che il regime alimentare può stimolare o contrastare l’infiammazione nei tessuti.