L’efficacia della rapamicina, farmaco già approvato dalla FDA (Food and Drug Administration) per altre indicazioni, è stata valutata su 13 soggetti ultra 40enni che hanno applicato su una mano una crema a base di rapamicina - una-due volte al giorno per otto mesi – e sull'altra una crema placebo. Al termine dello studio i risultati sono stati evidenti. La mano trattata con il farmaco aveva un aumento delle proteine di collagene (VII) e livelli più bassi della proteina p16, un indicatore chiave dell’invecchiamento della pelle (rughe, atrofia cutanea, fragilità, ritardo nella guarigione delle ferite, maggior rischio infezioni).
Dall’antirigetto all’antiaging
La rapamicina, farmaco conosciuto anche col nome di sirolimus, è un prodotto poco tossico, prodotto da un batterio (Streptomycs hygroscopicus) isolato inizialmente negli anni ’70 da un campione di terra proveniente dall'Isola di Pasqua (Rapa Nui), da cui il nome “rapamicina”.
Dal punto di vista biochimico, la rapamicina è un inibitore di una chinasi, mTOR (mammalian Target of Rapamycin), che regola la crescita, la proliferazione e la sopravvivenza delle cellule. Come immunosoppressore, indicato nella prevenzione del rigetto nei trapianti d’organo, il farmaco (Rapamune), di proprietà Wyeth Pharmaceuticals, è stato approvato vent'anni fa (1999) dalla FDA.
Negli ultimi anni la rapamicina è stata estesamente studiata come anti-invecchiamento (antiaging).
L’ultima ricerca in ordine di tempo è quella appena pubblicata su GeroScience da Christian Sell e collaboratori del Drexel University, College of Medicine di Philadelphia, con la partecipazione anche dell’italiano Antonello Lorenzini, del Department of Biomedical and Neuromotor Sciences dell’Università di Bologna.
Arruolati 36 soggetti, 17 hanno completato lo studio e solo 13 (10 donne e 3 uomini) hanno acconsentito di sottoporsi a prelievi del sangue e autopsia.
Avevano tutti oltre 40 anni, hanno applicato 1-2 volte al giorno una crema a base di rapamicina sul dorso di una mano mentre sull'altra una crema placebo. Per otto mesi. Durante questo periodo (due-quattro-sei-otto mesi) i ricercatori hanno esaminato i soggetti effettuando un esame del sangue e una biopsia.
Dopo otto mesi, le mani trattate con la rapamicina avevano un aumento delle proteine di collagene e livelli più bassi della proteina p16, un indicatore chiave dell'invecchiamento delle cellule della pelle.
La proteina p16, infatti, aumenta quando compaiono le rughe e la pelle assume un aspetto senescente, atrofica e con una maggiore fragilità. La rapamicina quindi, bloccando il suo bersaglio biologico (mTOR) - una proteina che partecipa al metabolismo, alla crescita e all'invecchiamento delle cellule umane – migliora la condizione della cute che risulta più luminosa, elastica e sana. Infine, l’inibizione di mTOR e la diminuzione della proteina p16 possono essere associati ad una riduzione del rischio cancro conseguente una riduzione del ciclo cellulare, e quindi una limitazione delle mutazioni che normalmente possono insorgere soprattutto con l’invecchiamento.
La ricerca dell’eterna giovinezza
In un’epoca dove apparire sembra essere più importante dell’essere, la ricerca di lozioni, integratori, sieri e diete non ha limiti.
Si prova di tutto con l’unico risultato, spesso, di migliorare solo l’aspetto esteriore (effetto cosmetico) e non la Salute della pelle (effetto strutturale).
L'attuale studio Drexel ha voluto studiare la rapamicina su un tessuto molto complesso, quello cutaneo, dove sono presenti cellule immunitarie, nervose e staminali, per cercare di comprendere meglio i meccanismi che regolano il processo di invecchiamento della pelle. E non solo. Perché una cellula che invecchia inizia a produrre sostante pro-infiammatorie. E questo lo fanno tutte le cellule, non solo quelle cutanee.
La rapamicina quindi, oltre al suo attuale utilizzo (a dose elevate) come anti-rigetto e in alcuni tumori rari come la linfangioleiomiomatosi (LAM) - una pneumopatia cistica multipla caratterizzata dalla distruzione progressiva del polmone e da anomalie linfatiche - potrà avere una seconda vita come antiaging (a dose più basse).
In quasi mezzo secolo ne ha fatta di strada questa molecola, capace di ridurre lo stress cellulare bloccando i radicali liberi, studiata negli anni ’90 su culture di cellule di lievito dove dimostrò la sua capacità di bloccare le proteine mTOR, fino agli studi sugli animali (topi) dove riusciva a prolungarne la vita con una condizione simile alla restrizione calorica.
Ultima nota, i ricercatori analizzando i campioni di sangue hanno osservato che quando il farmaco viene usato sulla cute come crema, non viene assorbito. Nessuna traccia è rilevabile in circolo (analisi LC/MS/MS il cui limite di rilevamento è 1 ng/ml).