Per la serie BlastingTalks, intervistiamo il presidente di ANDI Carlo Ghirlanda. ANDI è l’acronimo di Associazione Nazionale Dentisti Italiani, un sindacato di categoria che accoglie oltre 27.000 dentisti associati, svolgendo non solo attività prettamente sindacali, ma anche culturali e scientifiche.
Blasting Talks è una serie di interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali volte a illustrare come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come aziende e associazioni stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali.
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Può spiegare ai lettori di cosa si occupa ANDI e qual è la vostra missione?
ANDI è l’acronimo dell’Associazione Nazionale Dentisti Italiani, un sindacato di categoria attraverso il quale rappresentiamo la professione nei confronti delle istituzioni e ci poniamo come controparte sindacale. Siamo anche datori di lavoro e attualmente comprendiamo circa 80mila lavoratori. Ci occupiamo di formazione continua in medicina e odontoiatria. Di fatto siamo un sindacato di categoria con 27mila associati che offre i servizi di rappresentanza e quelli legati allo svolgimento della professione.
Quali sono le richieste e le esigenze dei vostri iscritti emerse durante la pandemia?
Sono state le più svariate. Perché la pandemia ha creato una serie di questioni che hanno fatto emergere con ancora più forza alcune contraddizioni preesistenti, legate a una serie di novità nel nostro settore che hanno creato numerosi squilibri, in particolare dalla concorrenza in proprio di società commerciali. Le richieste sono legate da una parte ai timori della pandemia e dall’altra ai problemi che la pandemia ha determinato.
Entrando nello specifico?
Sono stati tantissimi. Di salute, economici, di difficoltà di lavoro, di difficoltà di reperimento dei materiali per i dispositivi di protezione individuale. Ma anche problemi di reperimento delle risorse bancarie, oltre che con i terziari. Dunque, l’associazione è intervenuta su ogni capitolo con soluzioni e opportunità, cercando di controbilanciare la tendenza alla ricerca del profitto da parte da una serie di intermediari che in questo periodo si sono arricchiti commercializzando prodotti di basso costo ad alti prezzi.
Quali strategie avete attuato per far fronte alla situazione?
Abbiamo fatto acquisti di gruppo, comprando milioni di mascherine a prezzi bassissimi e cercando di ridurre i costi finali per gli studi. Contemporaneamente i dentisti chiedono rappresentanza, sia nei vari decreti rilancio e ristori che in tutte le attività ordinarie. In questo periodo difficile abbiamo cercato di rappresentare la professione nel miglior modo possibile.
In un momento così complesso come quello dettato dall’avvento della pandemia da coronavirus, com’è cambiato il vostro modo di operare?
Abbiamo svolto principalmente due attività. Partiamo da quelle straordinarie, cioè di servizio rispetto alla pandemia. Vuol dire tutto, dal singolo bisogno di chi si è ammalato, a chi purtroppo è deceduto, a chi è andato in pensione, fino a chi ha avuto bisogno di credito bancario.
Poi c’è stata una sorta di personalizzazione del nostro intervento rispetto all’emergenza. Per quanto attiene, ad esempio, alla rappresentanza per la categoria sulla necessità di essere vaccinati, ma anche per le indicazioni operative che bisognava sviluppare a proposito della sicurezza nello studio odontoiatrico. Siamo stati capaci in pochissime settimane di definire procedure di tale livello da far registrare nei rapporti INAIL lo 0,1 % di infortuni Covid-19 negli studi odontoiatrici.
Rispetto invece alle attività ordinarie?
Per le procedure ordinarie, con lo smart working e le web conference siamo un po’ più distanti dai rapporti personali con i decisori con i quali, spesso, ci siamo trovati a dover condividere percorsi e soluzioni.
Purtroppo, c’è stato un irrigidimento nella conduzione di tutte queste attività e quindi ora siamo in una modalità di rappresentanza a distanza che dà meno pressione e per alcuni versi risulta meno efficace. Le cose si fanno meglio conoscendosi e guardandosi negli occhi. Speriamo di poter recuperare quanto prima questo percorso, perché i problemi ci sono e sono tanti, non solo legati alla categoria ma anche per la sostenibilità della spesa per i pazienti.
Qual è il punto della situazione in merito alle vaccinazioni dei liberi professionisti del settore sanitario privato?
Si procede a macchia di leopardo. Rispetto a una situazione di partenza nazionale, ogni singola regione ha declinato diversamente le indicazioni ministeriali, che inizialmente non ci trovavano considerati.
La nostra categoria non può concedersi il distanziamento ottimale rispetto al paziente. Quindi il famoso metro di distanza con l’interlocutore non è possibile. Da una parte abbiamo dovuto sviluppare le indicazioni di cui ho parlato in precedenza, dall’altra parte siamo nelle necessità di essere vaccinati tutti. Perché questo accada c’è bisogno di una precisa volontà del decisore pubblico, perché il vero problema è che su tutta questa vicenda c’è stato un eccesso di enfasi rispetto alla prospettiva dei vaccini.
In che senso?
Anche in Italia abbiamo avuto la promessa di avere oltre 200 milioni di dosi. Non c’è stata però l’ammissione da parte del governo o della politica del fatto che questa promessa fosse esagerata.
Questo ha determinato aspettative altissime, che si sono poi tradotte in grandi delusioni rispetto ai tempi e all’organizzazione della campagna vaccinale. Oggi siamo in una situazione per la quale, in alcune regioni, la gran parte dei dentisti sono vaccinati, ma non il personale in studio. In altre ancora non siamo partiti. Noi ci siamo anche offerti, come categoria, di aiutare lo Stato a vaccinare, per cui oltre a pensare ai medici di medicina generale e ai farmacisti, ci siamo proposti in prima persona per facilitare la campagna vaccinale con i vaccini che hanno una gestione e una conservazione più semplice.
Per quanto riguarda invece i risvolti economici della crisi sanitaria ed economica, qual è stato l’impatto sui vostri iscritti?
La media elaborata dal nostro centro studi stima un -30% di fatturato nel 2020. C’è stato un parziale recupero tra inizio estate e i primi di ottobre. Poi l’inasprirsi delle misure di sicurezza e il nuovo timore che serpeggia nella popolazione rispetto ai rischi di contagio ha portato a un ulteriore peggioramento dei dati. Inoltre, sono aumentati i costi, perché tutte le procedure che noi attuiamo per mantenere in sicurezza dello studio sono oggettivamente più costose di prima.
In merito alle misure governative di sostegno e di sgravio concretizzatesi negli ultimi mesi, le ritenete sufficienti? Quali sono le vostre richieste e proposte al riguardo?
Francamente non siamo stati in alcun modo avvantaggiati dalle misure governative.
Abbiamo avuto un sussidio dal nostro ente privato di previdenza di 1000 euro per ogni iscritto libero professionista. Inizialmente tali indennità addirittura erano state tassate, con una dicotomia rispetto a quelli garantiti dall’INPS. Alla fine, con la nuova legge finanziaria, si è provveduto a sanare questa strana situazione, ma è stata una battaglia. Per il resto non abbiamo goduto di nulla. Sicuramente la riduzione della prima rata dell’Irap, ma bisognerà ancora vedere come andrà a finire.
È quindi mancato il riscontro in tal senso?
Non siamo stati in alcun modo sostenuti dallo Stato. Siamo fortemente perplessi sulla mancanza di considerazione che in generale viene data a tutti i liberi professionisti; siamo stati dimenticati dallo Stato mentre, contemporaneamente, noi dentisti, abbiamo svolto un’attività di sostegno alla salute, rimanendo aperti per le urgenze e le emergenze anche durante il lockdown.
In questo modo, abbiamo anche evitato ulteriori spostamenti dei cittadini che avrebbero poi gravato sui pronto soccorso, già oberati. Per cui ci siamo sempre messi a disposizione, ma in cambio non abbiamo ottenuto veramente nulla.
Infine, cosa possiamo imparare da quanto stiamo vivendo in questi mesi per diventare più resilienti di fronte a sfide come quelle attuali?
C’è un libro che si chiama “21 lezioni per il XXI° secolo” di Yuval Noah Harari nel quale si spiega che la lucidità è potere. Bisogna capire che rimanere immersi nel quotidiano senza guardarsi intorno per capire come comprendere le cose diventa un problema. I fatti si susseguono secondo un ciclo storico, era dunque naturale che prima o poi arrivasse una pandemia ed era plausibile che si creassero delle accelerazioni sul processo di intelligenza artificiale, che in questo momento riducono ulteriormente le opportunità di lavoro per tutti.
Dobbiamo imparare a creare gli equilibri giusti. Bisogna dare spazio a tutte le variabili che consentono di vivere in sicurezza, in pace e che permettono a tutti di avere lavoro e soddisfazione, ma contemporaneamente è necessario evitare di continuare in questo eccesso di narcisismo, populismo, egoismo che permea tutta quanta la nostra società. Io credo che la grande lezione di questo tempo sia di tornare a ragionare in termini collettivi, facendo propria una rinnovata prova di realtà.